Ripi (FR), centro storico / Sotto il becco del torchio, quello da cui colava l’olio, si apre una inspiegabile cavità nel terreno che pare proprio senza fondo: il tristemente famoso Pozzo delle Anime

IL POZZO DELLE ANIME


ARTICOLO E FOTOGRAFIE / Maurizio Minnucci

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Tra i luoghi misteriosi che si celano nelle città del basso Lazio, un posto d’onore spetta forse al “Pozzo delle Anime” di Ripi, un antico comune di cinquemila anime in provincia di Frosinone.

Un pozzo senza fondo ai piedi di un torchio incassato nella roccia, un pozzo terrifico oggetto di antichi e indicibili riti satanici.

E questa è la sua storia.

Il Pozzo delle Anime si trova in un palazzo seicentesco del centro storico edificato sui resti di un castrum del IX – X secolo, un avamposto militare che da quella posizione controllava la piana sottostante e allertava, col fumo nero di grandi fuochi, l’arrivo di eserciti nemici. Il palazzo nobiliare fu fatto erigere dalla famiglia Candia (una nobile famiglia della provincia romana che tanti prelati d’alto rango ha dato alla chiesa) sui resti dell’avamposto, e nella cantina venne scavato nella roccia un enorme torchio per olive.

Sotto il becco del torchio, quello da cui colava l’olio, si apre una inspiegabile cavità nel terreno che pare proprio senza fondo: il tristemente famoso Pozzo delle Anime. E subito al suo fianco una grande caverna, rimasta celata per secoli, scende sotto terra e corre alle segrete della cattedrale del paese.

Il Pozzo e la caverna, di cui s’aveva solo memoria tralatizia, furono rinvenuti casualmente una quindicina di anni fa dal sig. Maurizio Minnucci, fresco proprietario della cantina, durante l’asporto dei molti detriti che la riempivano e che celavano sia la voragine senza fondo che l’ingresso della grotta.

Riportiamo un’intervista il sig. Maurizio Minnucci che speriamo sia chiarificatrice.

Sig. Minnucci, che cosa è di preciso il Pozzo delle Anime e qual è la sua storia?
Il Pozzo delle Anime è una voragine senza fondo che si apre sotto un torchio scavato nella roccia viva della cantina del Palazzo Candia a Ripi, in provincia di Frosinone, e che la leggenda vuole arrivi fino all’inferno.

Qual è la leggenda legata al torchio e al Pozzo delle Anime?
Ovviamente il torchio fu fatto costruire per produrre l’olio. Ma per almeno cinque lustri, fino al 1733, venne usato per i riti luciferini degli Adoratori di Satana, una setta satanica che imperversò a Ripi.
Nei solstizi d’inverno, la setta sacrificava a Satana una giovane donna del villaggio e la poneva tra le pietre del torchio girando il meccanismo fin quando dal corpo non ne usciva una lingua di luce che stillava nel Pozzo sottostante.
Quella lingua di luce era l’anima.
Immediatamente dopo, Satana risaliva dagli inferi brandendo quella lingua di luce come un trofeo e si mostrava ai suoi adepti.

Terribile…
Spesso i piccoli borghi, poveri e dimenticati da Dio, erano teatro di fatti indicibili.

Lei dice che le date sono certe, perché?
Nel sotterraneo a fianco del torchio – rimasto nascosto per chissà quanto, probabilmente dal 1820 circa – ho ritrovato una missiva del 1817 indirizzata all’allora papa Pio VII, nella quale il vescovo Francesco Maria Cipriani lo informava di quanto saputo da Gregorio Baucano in punto di morte, il quale aveva scoperto la setta nel 1722 e, insieme agli uomini del suo villaggio, l’aveva sterminata nel 1733.

Come può trovarsi a Ripi una missiva indirizzata al papa?
Non saprei. Ritengo che un potente prelato della famiglia Candia ne sia venuto in possesso e l’abbia portata a casa, nascondendola in quel sotterraneo.

C’era qualcos’altro nel sotterraneo?
Sì, cerano due grosse ampolle in vetro, sigillate con ceralacca, contenenti ognuna uno zoccolo immerso in un liquido giallastro e oleoso. Pare siano gli zoccoli degli Adoratori di Satana.

Ovviamente si tratta solo di una leggenda…
Credo di sì, ma in tutte le leggende c’è un fondo di verità.
Consideri che quando ho scoperto la voragine vi ho gettato istintivamente un sasso dentro, poi, un altro e poi altri ancora, ed effettivamente non li ho mai sentiti cadere.
Poi la missiva del vescovo, gli zoccoli in vitro con una foggia stranissima non riconducibile ad alcun animale, la tradizione popolare che riporta la leggenda proprio come è descritta nella lettera del vescovo…
Insomma, forse c’è fumo in questa leggenda, ma c’è pure tanto arrosto.

Lei ha ancora la lettera e le ampolle? Si può visitare il Pozzo?
In verità ho avuto timore di un fatto così insolito, così ho fatto chiudere con una lastra di cemento il Pozzo e ho depositato lettera e ampolle in una cassetta di sicurezza ben lontana.
È tutto lì, sempre disponibile, ma lontano da me.

Non mi dica che crede a queste leggende?
Diciamo che preferisco tenere il tutto a debita distanza. E se lei avesse visto quello che ho visto e toccato io, credo che farebbe lo stesso.

Di seguito la Trascrizione della lettera del 1817 spedita a Papa Pio VII da Sua Eccellenza Francesco Maria Cipriani, vescovo
della Diocesi di Veroli, rinvenuta in grotta a fianco Pozzo delle Anime.

La leggenda del Pozzo delle Anime si è tramandata per via orale fino al 2008, quando Pier Paolo Forlini e Clementina Evangelisti l’hanno fissata nella loro “Antologia storiografica della Ciociaria”.
Nel 2018, poi, il sig. Minnucci l’ha fedelmente riportata (romanzandola un po’ per esigenze editoriali) nel suo libro “Fabularia”.