Località Montegiove, 05010 Montegabbione TR / E’ un percorso, questo, che descrive le tappe necessarie per seguire le varie vie alchemiche, la Via Bianca, la Via Rossa e la Via Nera.
IL PERCORSO INIZIATICO DELLA SCARZUOLA
ARTICOLO DI Diego Antolini (Gruppo The X-Plan)
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UN MAGICO GIARDINO
Il giardino della Scarzuola anticamente era un acquitrino in mezzo al bosco, dove nascevano mazzi di erbe particolari chiamati “Scarza”, con i quali Francesco d’Assisi arrivando sul posto, si è costruito una capanna. La capanna di Scarza intrecciata è sorta da questo luogo palustre.
Si trattava probabilmente di un’area di culto delle acque molto antica, in cui veniva adorata la divinità Feronia, dotata di una forte energia. Qui Francesco ha trovato il materiale per la sua dimora e qui avrebbe fatto scaturire l’acqua dal terreno, che i frati avrebbero poi protetto con un muro.
L’acqua, testata di tanto in tanto, pare emettere frequenze vibrazionali più alte rispetto alla norma. Energie di cui si era al corrente fin dall’antichità, in quanto si veniva a prendere l’acqua alla Scarzuola a scopo terapeutico. Purtroppo, l’avvento della religione Cristiana ha fatto perdere il culto atavico dell’acqua, sostituendolo e perdendo nel tempo quel collegamento con il sapere antico. Eppure qualcosa è rimasto: ancora oggi alcuni vengono a chiedere l’ “Acqua di Francesco”.
Una conoscenza che tuttavia non si è perduta in Buzi: secondo gli scritti da lui lasciati, egli avrebbe cominciato l’Opera proprio dal luogo in cui Francesco fece zampillare l’acqua. Quando l’architetto acquistò la Scarzuola, il suo primo lavoro fu di pietrificare “alla sua maniera” un viaggio iniziatico attingendo da un libro, l’Hypnerotomachia Poliphili (1499, Aldo Manuzio), romanzo alchemico stampato a Venezia dove il protagonista, Poliphilo, deve compiere un viaggio “d’azione” per ritrovare Polia.
Da questo libro hanno origine i “giardini d’azione” iniziatici, dove l’iniziato deve trasportare fisicamente il proprio corpo e, attraverso l’azione, ritrovare la sua parte mancante. Questo viaggio per nave porterà a Citera dove dimora Venere, dea dell’Amore. Il viaggio inizia come un sogno, perché quando si deve andare alla ricerca del proprio “doppio”, l’altro se stesso, non è possibile attivare il contatto nel diurno, ma occorre la notte e un particolare tipo di sonno. Il notturno è sempre stato, nelle varie tradizioni esoteriche, il luogo della natura e dei giardini.
Come si può realizzare il notturno? In genere si compie unendo insieme elementi contrapposti, come gigantismo e nanismo, artificio umano e compenetrazione della natura, uso della prospettiva e dell’asimmetria, ecc. La contrapposizione annulla in qualche modo la linearità del Tempo che ci siamo costruiti nello stato di veglia. L’assenza di tempo, l’accesso nelle aperture temporali tra le fasi del tempo, permettono il viaggio itinerante che porterà alla conoscenza di sé, cioè del proprio doppio.
Il sogno è rappresentato dalle tre porte chiuse che Tomaso Buzi pone all’ingresso del giardino. Le tre porte hanno delle scritte nel libro e nel sogno, e sono le tre scelte che gli umani hanno nella vita: la Gloria Dei, (che alla Scarzuola conduce alla chiesa e al convento del cortile d’ingresso); la Gloria Mundi al suo opposto, simboleggiante la vita mondana, e la porta centrale o Mater Amoris. Solo la porta centrale ha nei montanti il simbolo della metamorfosi, la figura del cambiamento. La sua peculiarità è che le metamorfosi nascono dalla fontana che guarda la porta centrale, perché al suo interno è pieno di libellule che hanno lasciato l’involucro e si sono liberate. Ecco la via delle metamorfosi che permette di liberarsi dello “scafandro rigido” costruito da società e persone, per ritrovare il proprio “involucro mobile”.
La natura fa parte di questo processo iniziatico e le metamorfosi si realizzano nella vasca d’acqua. La porta centrale è l’unica delle tre che ha l’acqua nel suo percorso. La trasformazione delle libellule avviene nella stagnazione di acqua e fango. Quando esse cominciano a formare un corpo rigido escono dal fango lasciando il loro involucro precedente sulle foglie, e poi si liberano nell’aria.
La stagnazione avviene attraverso l’acqua perché Poliphilo, nel libro, si trova ai bordi di un ruscello, beve l’acqua (acquisendone la memoria e le informazioni necessarie per il viaggio), va a dormire e, nel sogno, comincia la navigazione. Attraversando la porta centrale entriamo nel regno delle metamorfosi, che apre al giardino e al cambiamento di se stessi.
Una volta attraversata la porta si incontra, al centro del sentiero, la fontana di acqua corrente, fluido vitale in movimento. E poi si raggiunge l’imbarcadero. Non occorre imbarcarsi fisicamente visto che ci troviamo in un sogno e siamo già in mare, siamo già dentro alla nave. Il sentiero, infatti, si interrompe bruscamente sulle rive dell’acqua che contiene la nave di pietra. La prua della nave è orientata a ovest, perché prima di raggiungere l’Opera di Buzi è necessario compiere il viaggio verso il buio, l’oscurità (ma anche il passato dove il nostro doppio agisce). Vediamo in tutto questo un parallelismo con la nave di Osiride e il suo viaggio alchemico. E anche in Dante ci si addormenta per ritrovarsi nella “Selva Oscura” dove incontriamo i mostri. Buzi ha dunque materializzato un viaggio ispirato dall’Hypnerotomachia Poliphili che parla di un imbarcadero e di una nave pronta per partire.
Nel giardino della Scarzuola la nave partirà quando si muoverà l’ala posta sulla cima, perché quello è il motore, e l’iniziato è rappresentato dal putto che soffia proprio sull’ala. Il putto, in equilibrio sulla palla con un piede solo, sa che da un momento all’altro può crollare tutto, sa che si tratta di un viaggio pericoloso e che tutte le certezze che ci siamo costruiti nello stato di veglia (presente) possono cadere se non si è adeguatamente preparati.
I SIMBOLI DELLA SCARZUOLA: L’ANFITEATRO
Seguendo un sentiero che si snoda parallelo al giardino, e proprio in corrispondenza della “nave di pietra” la cui prua sembra indicarne l’ingresso, si apre alla vista del viaggiatore un grande anfiteatro circondato da simboli che si descrivono, per posizione e per significato, un moto dinamico e armonico.
Le immagini della luna e del sole sono le prime che si presentano nell’avvicinarsi al bordo dell’anfiteatro. Questi sono disegnate al centro di due colonne e sembrano specchiarsi sulla volta celeste. Quando la luna si trova in alto nel cielo, infatti, illumina la Scarzuola dalla direzione opposta rispetto a quella posizionata a terra. Allo stesso modo il Sole, nel suo arco discendente, si trova di fronte al sole posto da Buzi nella seconda colonna. Questo incrocio simbolico-astronomico potrebbe descrivere la simmetria degli astri ma anche quella dei due emisferi terrestri.
Tra le due torri-colonne vi sono delle scale che scendono a spirale fino al livello del piano dell’anfiteatro. Questo percorso a spirale ha un significato alchemico e catartico, perché la discesa in mondi sotterranei o ctoni ha sempre connotati espiatori o purificatori per lo spirito. E, infatti, alla base delle scale vi è l’arena, circondata da una serie di scalini a semicerchio sia a ovest che a est. Entrando nell’arena ci si accorge di trovarsi in un labirinto costruito sull’erba, che invariabilmente conduce al suo centro dove si erge un piccolo obelisco. Questi rappresenta l’Omphalos o l’ombelico del mondo nella tradizione greca. In linea retta sulla direttrice sud-nord vi sono altri due oggetti molto interessanti. A sud, cioè tra le torri-colonne all’ingresso dell’arena si trova il volto di un mostro dalle fauci spalancate, mentre dalla parte opposta dell’arena vi è un occhio aperto scolpito sul lato interno della struttura che chiude i confini dell’anfiteatro, e che vedremo in seguito.
Il mostro è la rappresentazione pietrificata della condizione dell’uomo, piena di demoni interiori (paure, blocchi, pulsioni egioche, ecc.). L’ingresso nell’arena e l’esplorazione del labirinto dovrebbero servire a purificare il suo spirito da tutti i mostri che lo rendono prigioniero di energie negative e innalzarlo verso più elevati livelli di consapevolezza una volta che il suo occhio interno (il terzo occhio?) si è finalmente aperto sulla realtà. A quel punto egli potrà volare libero verso nuove dimensioni e nuove realtà, come indica l’ala che Buzi ha posto sopra il grande occhio (e che rappresenta anche la sua firma).
Ma tutto questo percorso non avviene solo a livello simbolico, perché l’anfiteatro è anche un luogo dove gli elementi naturali si combinano in una dinamica silenziosa e costante: il suolo, permeato d’acqua, provoca la crescita di erbe e muschio che si insinuano tra il tufo che Buzi ha scelto per la sua Opera. Questo materiale ha la caratteristica di disgregarsi lentamente sotto l’azione delle piante e dell’acqua, provocando un suono impercettibile, che però corrisponde a vibrazioni che rimbalzano da un punto all’altro della costruzione. L’anfiteatro in questo senso si pone come una “cassa di risonanza” per la natura, che al suo interno dialoga e segue il suo ciclo eterno di formazione e disgregazione della materia.
Nella pur apparente simmetria delle forme e dei simboli, vi sono delle piccole differenze che permettono la “rottura del sistema” e, quindi, la sua trasformazione in qualcos’altro. Questo è il secondo livello di interpretazione della Scarzuola e forse la chiave da utilizzare per il viaggio a bordo del Galeone.
I SIMBOLI DELLA SCARZUOLA: LA NAVE
Superata la prova del labirinto, una volta alleggeriti dei mostri interiori, il nostro Terzo Occhio è aperto e può sollevarsi sulle ali di una nuova consapevolezza. E’ a questo punto che Tomaso Buzzi ci fa trovare il fulcro della sua Opera, la Nave o Galeone. Si tratta di una struttura imponente che va da ovest a est e si pone come una barriera tra la dimensione del reale e quella dell’ “oltre”. Solo salendo a bordo, navigando con essa lungo le calme acque dell’esistenza è possibile essere traghettati in dimensioni diverse, in realtà distanti eppure presenti simultaneamente alla nostra.
L’idea di Buzzi è quella della nave di Caligola, del lago di Nemi, una costruzione surrealista ispirata a piattaforme galleggianti di marmo e oro, a giardini e templi, forse allo stesso Tempio per eccellenza, quello di Salomone. Buzzi amava gli edifici classici come il Partenone e il Colosseo, che infatti sono tra gli elementi della sua “Città Ideale” costruita sulla poppa della Nave. Amava i Gonzaga e ne ha riprodotto la torre. E poi altre memorie come la Torre dei Venti, la piramide, l’arco di trionfo e gli obelischi.
La piazza al centro della Città è un ottagono e l’ottagono una tartaruga. Ma la piazza ricorda anche la città ideale a Urbino.
Buzzi gioca sempre su una “simmetria disuguale”: stessi elementi presenti sia da una parte che dall’altra, ma con piccole differenze. La dualità è una costante della sua Opera, ma una dualità armonica che crea l’Unità.
La Città Ideale di Tomaso Buzzi ha le sue origini nei lavori del Filarete, un architetto fiorentino del Quattrocento che aveva progettato (ma mai realizzato) la “Sforzinda” per Francesco Sforza. Buzzi pensa ad una “Buzzinda” e la realizza. Si tratta di una città progettata attraverso un sistema di prospettiva multi livello, con un piano regolare di partenza (il primo): porta e palazzo hanno dimensioni reali. Man mano che si sale ai piani superiori la prospettiva viene falsata con una magistrale combinazione di gigantismo e nanismo.
Ecco che quindi abbiamo, come in un girone dantesco pietrificato, le carceri e i vizi nell’oscurità, alla base. Così come per il Filarete, anche qui la città descrive condizioni sia esteriori e che interiori. Le carceri rappresentano lo sfintere della città, la valvola di sfogo dei miasmi che le impedisce di scoppiare. La parte alta rappresenta invece le virtù, sempre illuminate dal sole. Nell’equilibrio tra vizi e virtù la Nave ha la sua immanenza, mentre l’umanità vive invece la contraddizione di ignorare i vizi ma di esserne attratta, pur cercando di conservare un’apparenza “virtuosa”.
La Città Ideale di Buzzi si pone come una stratificazione, una montagna di edifici e di condizioni esistenziali in continuo movimento di attrazione/repulsione, all’inseguimento del miraggio dell’unità.
I colori sono importanti in questa straordinaria Opera, poiché di giorno la pietra e la prospettiva conferisce all’architettura una certa sfumatura, mentre di notte, questa cambia completamente. Cambiano i colori, le ombre dei cipressi si allungano sulla Città Ideale, quasi a mostrare l’altra faccia, nascosta, del Viaggio Alchemico.
Tra gli elementi che compongono la Città Ideale vi sono la Ianua Coeli, la Porta del Cielo, come memoria di Diocleziano a Spalato.
Vi sono poi le nove stanze dedicate alle muse, visto che il Suono, estrinsecato nel nostro mondo nella sua più elevata manifestazione, la musica, riempie il pontile della Nave in tutta la sua lunghezza. Buzzi disegna strumenti musicali di ogni tipo, dal Flauto di Pan alla lira al violoncello. Tali strumenti sono inseriti in un secondo labirinto, a testimoniare che il percorso di “purificazione” continua anche durante il viaggio, anche dopo aver risvegliato la propria coscienza.
Il ventre della Nave è anche il suo Sancta Sanctorum, un percorso che solitamente non viene incluso nelle visite guidate. Esiste una piccola stanza con uno stagno a mezzaluna chiamata la “Stanza di Diana”, e degli stretti corridoi che sembrano collegati ma che, in realtà, conducono a vicoli ciechi, scalette che terminano contro la nuda pietra, e piccole gallerie. Al di sotto della Nave regna ancora il caos del limbo, mentre sul pontile il labirinto musicale contiene le chiavi per il risveglio.
Simbologia e astrologia si intrecciano con architettura, geometria e musica in modo incredibilmente efficace. Il simbolo centrale di Tomaso Buzzi sembra essere il Sole: è ad est infatti, che la prua della Nave è posta. Mentre la sua poppa indica l’ovest.
Ancora una volta, però, Buzzi altera la simmetria: la Nave non è perfettamente dritta, la porta non è in asse. La Nave si muove verso sud (diversamente dalla barca del giardino che invece è orientata verso ovest, verso l’oscurità).
E qui sta il genio di Buzzi. La barca del giardino e la Nave della Città Ideale rappresentano due stadi diversi della stessa essenza: superato il buio dell’incoscienza (i “mostri”), la Nave acquista coscienza e vira, cambia direzione (e dimensione)…e prosegue il suo viaggio al di là, verso una nuova realtà.
I SIMBOLI DELLA SCARZUOLA: LA GRANDE MADRE
L’Opera di Tomaso Buzzi continua anche al di là della Nave. Un sentiero laterale rispetto all’Anfiteatro permette di girare intorno alla Città Ideale e, proprio all’angolo, si erge una figura gigantesca femminile priva di testa. La nudità della scultura e la prominenza delle curve sottolineano la volontà dell’alchimista di inserire nell’Opera il simbolo ancestrale della Grande Madre, presente nelle culture di tutto il mondo come archetipo della natura e della creazione, e venerata molto prima della nascita dei Pantheon sumero, hindu, egizio, greco e delle culture precolombiane.
In ogni luogo del mondo la figura di una donna dalle enormi proporzioni, spesso priva del capo, è stata rinvenuta all’interno di templi preistorici decorati con simboli quali la spirale, il sole o la croce. Tutti elementi presenti alla Scarzuola. Le origini di questo culto, definito “della Grande Madre”, sono tutt’ora oggetto di dibattito tra studiosi e ricercatori, e la sua presenza all’interno della Scarzuola conferma la nostra opinione che Buzzi abbia voluto si costruire un “Testamento su pietra” (come lo ha definito Marco Solari), ma non di se stesso, bensì dell’intera umanità.
Prendendo il sentiero adiacente alla Grande Madre la parete esterna della Nave mostra un ingresso. Entrando, ci si trova di fronte ad un cortile circolare abbastanza ampio, con al centro un albero alto e diritto come un obelisco, privo di rami e annerito in punta come se colpito da un fulmine. L’ “obelisco” naturale si trova sulla direttrice della Grande Madre, alle sue spalle.
Cortile circolare e obelisco sono anch’essi due concetti che richiamano alle culture antiche e ai loro simboli, laddove il cortile rappresenta il grembo materno all’interno del quale la vita si alimenta e cresce; l’obelisco è invece l’energia maschile, il “medium” che permette la riproduzione della vita stessa. Ponendo questi due elementi accanto alla Grande Madre, Buzzi potrebbe aver voluto coniugare arte e natura in una combinazione di forte impatto estetico e simbolico. Sulla cima della muratura si notano una serie di soli che rappresentano l’ “angolo” di realizzazione di tutta l’Opera – Marco Solari ci ha ripetuto più volte che La Scarzuola è un’opera “solare” – e l’elemento fondamentale per la nascita e la perpetuazione della vita.
La stanza circolare comunica con un altro ambiente caratterizzato da una struttura modulare di tubi o colonne metalliche simili alle canne di un organo. Questa stanza è posta sul retro delle carceri possiamo collegarla agli ingranaggi di un motore o alle cellule di una “mente” meccanica. E’ in questa stanza che abbiamo avuto la forte sensazione dell’Opera come “Macchina Alchemica” voluta da Tomaso Buzzi per connettersi al forte campo energetico che esiste da sempre in quest’area.
Se quindi la stanza circolare rappresenta la creazione naturale, la stanza “meccanica” potrebbe indicare la creazione del futuro (cioè del nostro presente attuale), cioè l’avvento della tecnologia dell’Intelligenza Artificiale.
Torniamo nella stanza circolare e ne usciamo attraverso una terza apertura che dà su un bellissimo stagno sul quale la Nave si specchia con un gioco di simmetrie che ricorda moltissimo il tempio di Angkor Wat in Cambodia, gioiello della perduta civiltà Khmer.
L’uso dell’acqua come specchio naturale per gli oggetti di superficie rappresenta il collegamento tra la dimensione del reale e quella onirica del sogno, che riflette in modo più o meno fedele ma in modo dinamico a causa del comportamento delle molecole liquide che non sono mai immobili.
E’ nell’acqua che la Nave di Buzi compie il suo viaggio; è attraverso l’acqua che essa trascende verso mondi diversi da quello di partenza. E’ all’acqua, infine, che l’Opera affida la memoria del “passaggio” da uno stato all’altro dell’essere…
IL PERCORSO INIZIATICO DELLA SCARZUOLA
Tomaso Buzzi, ci confida Marco Solari, diceva che la Magia faceva parte della sua formazione, che non era mai andato a cercarla perché la sentiva dentro di lui. La sua Opera alla Scarzuola, allora, Buzzi l’ha creata d’istinto, senza schemi? Oppure era stato “guidato” da un’intuizione, da una visione o da una conoscenza inconscia di certi simboli?
Marco, che ha conosciuto Buzzi meglio di chiunque altro, cerca la chiave per capire l’Opera attraverso l’intuizione (e anche noi crediamo che questa sia la via più efficace): Re Salomone aveva la visione del suo tempio ma non era in grado di realizzarla, così chiamò Hiram, l’architetto, per assegnargli questo compito. Ma qual era la parte interessante del Tempio di Salomone? Noi diciamo “Tempio” ma, in effetti, doveva essere un luogo dove passato, presente e futuro coesistevano. Era un luogo che conteneva in sé il Tutto.
Questo concetto oggi possiamo comprenderlo attraverso la “mnemo tecnica” o arte della memoria, che ha avuto storicamente tre personaggi fondamentali per il suo sviluppo: Raimondo Lully nel ‘300, un francescano; Giulio Camillo detto “Delminio”, umanista e filosofo Italiano vissuto nel XVI secolo, che aveva trovato in Francesco I di Francia un fervido sostenitore della sua idea di creare un “Theatro della Memoria”, in cui lo spettatore siede sul palco e lo spettacolo si svolge tutto attorno a lui. Del Delminio si parla pochissimo in Italia, mentre sembra che egli fosse convinto che il suo “Theatro della Memoria” fosse una chiave per cambiare i destini del mondo. Il terzo personaggio importante per la mnemo tecnica fu Giordano Bruno ma, secondo Marco, è il Delminio la chiave per comprendere l’Opera di Buzzi.
L’ultima parte dell’Opera è costruita oltre il Galeone e alla base di un declivio che delimita la proprietà della Scarzuola. Si tratta di un percorso rettilineo a squadra (simbolo massonico di moralità e rettitudine), al cui angolo è posta una torre spezzata. All’ingresso del percorso è posta una porta semicircolare rappresentata dalla bocca spalancata di un pesce. Il corpo sinuoso del pesce si snoda sulla parte superiore della porta. Superata la torre spezzata, il sentiero procede in salita ed è disseminato di colonne.
Il pesce è un simbolo ricorrente nelle culture antiche, dalla Persia alla Palestina, alla Grecia. Simbolo di vita perché associato all’acqua, ma anche a divinità come il Sumero Enki, e pesci erano posti a guardia dell’Albero della Vita.
Nel libro di Giona il pesce ha un significato alchemico di trasformazione, visto che ingoia e poi (dopo tre giorni) rigurgita il profeta.
I primi cristiani usavano la parola Ichthys per rappresentare Gesù in quanto l’acronimo della parola produrrebbe le iniziali di “Gesù Cristo, figlio di Dio, salvatore”.
La torre come simbolo materiale denota limitazione e rigidità, una sorta di “prigione conformista” che ci costruiamo attorno attraverso l’accumulo di beni materiali e l’ossessione per il possesso.
Sotto l’aspetto metafisico la torre rappresenta la cristallizzazione dei pensieri e delle idee come risultato di pensieri e credenze che ci tengono inchiodati al passato.
Nel simbolismo dei tarocchi la torre rappresenta cambiamento, caos, distruzione. Ma successivamente, l’esperienza nella torre rende più forti e pronti ad affrontare la vita come un nuovo individuo.
La torre spezzata nell’Opera di Buzzi potrebbe quindi significare la distruzione delle limitazioni auto-imposte, ma le solide fondamenta rimangono per rafforzare lo spirito e prepararlo all’ultima parte del percorso, che infatti prosegue in salita.
Le colonne, che nella prima parte del percorso sono poste ai lati in modo simmetrico, superata la torre si trovano disseminate nello spazio del sentiero e in ordine asimmetrico, così da ricalcare lo stile Buzziano della “falsa prospettiva”.
E’ un percorso, questo, che descrive le tappe necessarie per seguire le varie vie alchemiche, la Via Bianca, la Via Rossa e la Via Nera.
Se uniamo i concetti appresi durante la nostra indagine alla Scarzuola ci accorgiamo che due sono in posizione preminente rispetto a tutti gli altri, e cioè il viaggio onirico di Polifilo e il “Theatro della Memoria” del Delminio. Partendo da questi due elementi possiamo avere un’idea forse più chiara di quello che Tomaso Buzzi voleva realizzare: attraverso il sogno passato, presente e futuro possono essere visitati simultaneamente sia nello Spazio che nel Tempo, ma a velocità diverse.
Questa teoria fa parte dello studio sullo “Sdoppiamento” dello scienziato Jean-Pierre Garnier Malet ed è presente in molti dei principi contenuti nella “Fisica dei Campi Simmetrici”.
L’Opera di Buzzi è eterna, perché i tre tempi sono contenuti nello stesso spazio. Tomaso Buzzi aveva una “visione dall’alto”, guardava e ascoltava ma non parlava. La frequenza generata dalla pietra risuona continuamente e permette ad ogni persona di percepire una cosa diversa. E’ forse questo l’effetto della straordinaria “Macchina Alchemica” della Scarzuola.