ALATRI (FR) – ACROPOLI /  La “Porta Maggiore” si apre sul lato meridionale dell’Acropoli, ed  è alta 4,5 metri e larga 2,68. Costruita da ignoti artefici, mediante la sapiente sovrapposizione di otto enormi massi sormontati da un architrave monolitico lungo circa 5 metri del peso stimato di almeno 27 tonnellate.

LE MURA CICLOPICHE E LA TRIPLICE CINTA


ARTICOLO E FOTOGRAFIE
 / Giancarlo Pavat
e di Ornello Tofani

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Provincia di Frosinone

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Simbolo: TRIPLICE CINTA

I capitoli di questa scheda sono:
La Triplice Cinta
Anomalie magnetiche sull’Acropoli?

Lo studio dello scopritore Ornello Tofani


Veduta aerea con Google Earth delle mura ciclopiche

La triplice cinta

Il convegno di Alatri (FR) sull’affresco con il “Cristo nel Labirinto” del 24 aprile 2009 (di cui si parla in un apposito articolo di questo sito), è servito pure a consentire allo studioso, scrittore ed editore alatrense, Ornello “Paolo” Tofani, uno dei migliori indagatori dei misteri della propria città, di far conoscere allo scrivente e ad altri ricercatori, una sua incredibile scoperta. La quale potrebbe, non è retorica affermarlo, rivoluzionare gli studi sulla Città Ernica.


la Triplice Cinta

Sopra una delle pietre megalitiche dell’Acropoli che la leggenda vuole eretta dai Ciclopi, Tofani, assieme al prof. Gianni Boezi, ha rinvenuto un esemplare del simbolo della “Triplice Cinta”. “Graffito del quale mai finora si era avuta notizia. Il disegno non è visibile pienamente alla luminosità diurna” ha spiegato TofaniSembra cancellato dallo scorrere dei secoli, reso quasi tutt’uno con la roccia. Lo abbiamo scoperto di notte, mentre cercavamo un punto adatto per effettuare le riprese di un documentario sulle relazioni archeoastronomiche della pianta di Alatri”.


Tofani sull Acropoli vicino alla Triplice cinta

L’aspetto più intrigante della scoperta “è la sua posizione, la sua collocazione e la sua consunzione” ha proseguito l’editore; secondo il quale, la “Triplice Cinta” sarebbe da mettere “in relazione al moto del Sole, verosimilmente si tratterebbe di una sorta di cronografo solare di un tempo ciclico. Incardinato sul flusso temporale degli Equinozi e dei Solstizi”. Per cercare conferme a queste affascinanti ipotesi, sono stati informati vari ricercatori, versati nel campo dell’archeoastronomia, come don Giuseppe Capone, l’ing. Giulio Magli, ordinario di Meccanica razionale al Politecnico di Milano, il prof. Antony Aveny docente di astronomia e antropologia alla Colgate University di New York, massimo esperto di archeoastronomia per l’America Centrale ed Adriano Forgione, direttore della rivista “Fenix”.


Voyager di notte sull Acropoli di Alatri

La città di Alatri è celebre per la grandiosità delle sue mura, in particolar modo quelle dell’Acropoli o “Civita”. Sulle quali è ancor aperta la diatriba sulla datazione e sui suoi costruttori.
Per farsi un idea della maestosità dei manufatti, che si meritano davvero l’appellativo di “ciclopici”, basta ammirare le due monumentali “porte” dell’Acropoli


la Porta Maggiore

La “Porta Maggiore” si apre sul lato meridionale dell’Acropoli, ed  è alta 4,5 metri e larga 2,68. Costruita da ignoti artefici, mediante la sapiente sovrapposizione di otto enormi massi sormontati da un architrave monolitico lungo circa 5 metri del peso stimato di almeno 27 tonnellate.


la Porta Minore

La “Porta Minore”, o “dei Falli”, non è meno incredibile. Il suo architrave monolitico, con scolpiti i tre falli apotropaici che le danno il nome (semicancellati nel Medio Evo), è lungo 3,50 metri.
Sullo stesso architrave e su un monolite adiacente sono state individuate alcune scritte di difficile decifrazione, in una lingua, forse riconducibile all’Osco, visibili solo in certe condizioni di luce.


Ornello Tofani e la troupe di Voyager sull Acropoli

Anomalie magnetiche sull’Acropoli?

Sabato 26 settembre. Uno splendido e soleggiato pomeriggio autunnale.
Su invito di Ornello Tofani, mi sono recato sull’Acropoli di Alatri, assieme a mia moglie Sonia Palombo, al prof. Italo Biddittu, al geologo Augusto Carè, per verificare una strana anomalia riscontrata dallo stesso Tofani.
A quanto pare, in prossimità del simbolo della “Triplice Cinta”, da lui scoperto, oggetto dei suoi studi che durano da alcuni mesi, gli aghi delle bussole non indicherebbero più il nord.
Scettici per natura, ma aperti a esaminare qualsiasi affermazione, abbiamo voluto verificare di persona il fenomeno. Non per sfiducia nei confronti dell’amico Ornello, ma perché quando si indaga su certe tematiche è facilissimo cadere, in assoluta buona fede, in qualche tranello.


Prof Biddittu e Sonia Palombo controllano
il magnetismo sull’Acropoli di Alatri

Ma quel pomeriggio rimaniamo a bocca aperta. Effettivamente, mediante l’utilizzo di diverse bussole ed altri strumenti per rilevazioni geomagnetiche, non possiamo che riscontrare anche noi l’anomalia magnetica.


Mura ciclopiche dell Acropoli di Alatri

Ci tuffiamo nel mistero. Eseguiamo tutti i controlli e riscontri necessari e dopo un po’ ci accorgiamo che tutti gli aghi indicavano un piccolissimo punto del grande masso poligonale su cui è stata incisa la “TC”.
Questo punto reca traccia di malta o cemento, come se fosse stato chiuso un piccolo foro. La presenza di tondini in ferro inseriti nei blocchi calcarei, presumibilmente durante gli scavi archeologici di circa 40 anni fa, ci ha permesso di ipotizzare che pure nel macigno con il simbolo ci sia un simile tondino in ferro
Questo spiegherebbe il comportamento apparentemente assurdo delle bussole. Mistero risolto? Credo proprio di sì.
La certezza inconfutabile si potrà avere scalpellando via il cemento e verificando la presenza del tondino in ferro.

Ma tutto ciò non sminuisce la scoperta del misterioso simbolo della “Triplice Cinta” fatta da Tofani. Che sembra essere in relazione con certe costellazioni ed il sorgere del Sole in determinati momenti dell’anno.
Dalla letteratura sull’argomento si sa che, al momento, non sono noti esemplari di “Triplice Cinta” precedenti all’Epoca Romana.
La “Triplice Cinta” dell’Acropoli di Alatri potrebbe spostare indietro nel tempo la datazione di questo simbolo utilizzato anche nel Medio Evo dai Cistercensi e dai Cavalieri Templari. Ovviamente sono necessari altri studi e ricerche.


Il leone dell’Acropoli di Alatri

Di seguito l’interessante e approfondito studio sul ritrovamento della Triplice Cinta a cura dello scopritore Ornello Tofani, che tra mille difficoltà continua a portare avanti le sue intense ricerche

di Ornello Tofani

Il 28 agosto 2008 prima del sorgere del sole, decidiamo di ritornare presso lo spigolo di sud – est delle mura di Alatri, quando ci accorgiamo di qualcosa che appare sotto i nostri occhi: una sorta di disegno appena visibile sopra uno dei blocchi. Distolti entrambi, aspettiamo il sorgere del sole perchè esperienze precedenti mi hanno insegnato che, a luce radente anche i segni meno visibili risultano più evidenti. Accade ancora una volta così; alle prime luci dell’alba emergono in maniera più delineata i contorni del nostro disegno.
Non sappiamo cosa sia. Nemmeno so dire se sia stato un caso…  ma quel graffito, o incisione, sulla pietra ci ha trovato, in quel momento, insieme, mentre si parlava del movimento del sole e del ciclo delle stagioni. Ho fotografato e ripreso il graffito, elaborandone al computer le immagini più nitide possibili. La prima persona che ne ha avuto notizia è stato Don Giuseppe. Si è mostrato stupito della scoperta, e la prima reazione avuta è stata quella di comprendere che “non si trattava di un gioco”, anche se non poteva dirsi che cosa fosse in realtà e quale ne fosse la funzione. Sembrava più un “quadrante solare”, un“cronografo” o “templum” solare. Io una certa idea me la sono fatta: il Nostro “Labirinto” ha un orientamento astronomico: l’asse Nord-Sud coincide con la diagonale del quadrato e un asse posto nel foro al centro, nei giorni di equinozi, proietta l’ombra lungo la diagonale; è probabile che esso fungeva da Calendario, per segnare le stagioni con il primo raggio di sole e durante il giorno da orologio.
Durante l’inverno, per meglio studiare il graffito, ne faccio fare un calco in gesso dal m° Giorgio Tolomei. La mia collaboratrice Antonella Mangiapelo ne evidenzia le incisioni. Ne studiamo al computer ogni dettaglio, attraverso elaborazioni in “Photoshop”.

Mi accorgo di aver trovato un esempio interessante di quel simbolo denominato “triplice cinta” e gli altri tendono di solito a interpretare come un gioco del filetto, potrebbe essere molto antico, a giudicare dall’erosione della roccia su cui si trova.
E’ stato spesso detto che potrebbe riferirsi alla pianta delle antiche citta’ con tre cinte successive .

Il disegno che l’incisione fa trasparire non è visibile pienamente alla luminosità diurna; sembra cancellato dal trascorrere di innumerevoli secoli, reso quasi tutt’uno con la roccia dalla quale pure, grazie alla luce, riesce ancora ad emergere.
Lo abbiamo scoperto di notte, mentre stavamo cercando il punto più adatto per effettuare le riprese di un documentario sulle relazioni archeoastronomiche della pianta di Alatri.
Lo abbiamo individuato mentre il testo sul quale stavamo lavorando centrava la propria attenzione sul concetto di “tempo ciclico”, in riferimento ai modelli cronologici dell’antica Mesopotamia.

L’immagine incisa, ripresa con ansia al primo raggio del sole nascente, ha fatto emergere d’incanto i suoi contorni più delineati, che ci hanno intimamente commosso: di fronte ai nostri occhi, di fronte ai nostri volti, carichi di stupore e d’incredulità, ci si è offerto un simbolo, la cui immagine trasmettiamo nelle fotografie che accompagnano queste scarne note.
Il graffito presenta una forma geometrica nota: è la sua posizione, è la sua collocazione, è la sua consunzione che certamente lo rendono fuori dell’ordinario.
Il tempo intercorso dalla data della scoperta a quella odierna, è stato speso a tentar di cogliere qualche indizio che suggerisse risposte per comprenderne la sua funzione.
La scoperta, ad oggi, è stata comunicata, in primis, a Don Giuseppe Capone e, parallelamente, al Prof. Giulio Magli, Ordinario di Meccanica razionale al Politecnico di Milano, al Prof. Antony Aveny, Docente di astronomia e antropologia alla Colgate University di New York, massimo esperto di archeoastronomia per l’America centrale e a numerosi altri esponenti nazionali della ricerca in ambito antropologico.
Per parte nostra, senza alcuna presunzione di indovinare un interrogativo che, ancora una volta, sorge dalle Mura Ciclopiche di Alatri, il simbolo inciso sulla pietra megalitica è orientato astronomicamente ed esprime una vitale relazione con il moto del sole: verosimilmente come cronografo solare di un tempo “ciclico”, incardinato sul flusso temporale degli equinozi e dei solstizi.
Voglia Iddio che diventi la pietra angolare di una immensa ricchezza culturale che Alatri abbia l’orgoglio e il privilegio di riscoprire”.

L’elemento mi riporta ad altri esempi di “templum”, dell’Età del Bronzo, anch’essi con una sorta di “freccia”. Inoltre voglio capire se il nostro “templum”, oltre alla funzione di “cronografo”, possa indicare molto di più.
Ricollegandomi ai principi espressi da Don Capone ne “La Progenie Hetea”.
Mi chiedo se il “templum” non voglia e non sappia indicarci, ancora una volta, una strada verso le stelle.
Per andare a fondo sulla mia idea, procedo alle seguenti operazioni:
1) con l’aiuto di un G PS, calcolo le coordinate geografiche del “templum”, che risultano essere: 41°43’ 0’’ lat N – 13∞ 21’ 0’’ long E
2) domando al prof. Magli il supporto di un programma che simuli le variazioni dei moti delle costellazioni nel corso dei millenni.
3) prendo quali riferimenti di partenza per studiare la posizione del “templum”: la Costellazione dei Gemelli (relativamente a quanto espresso da don Capone); la “Croce del Sud”, parzialmente visibile, secondo quanto esposto dal prof. Magli.

Lavoro contemporaneamente con i due programmi e dopo molti tentativi penso di essere giunto alla seguente conclusione:
il “templum” indica l’atto di nascita della città di Alatri, riportandolo ad un tempo che le mie osservazioni fanno risalire intorno al 1000 a.C..

Si può vedere che in quella data il Sole è in sovrapposizione a Saturno (Alatri città Saturnia) e il Sole è allineato perfettamente con Castore e Polluce (I Gemelli vedi la teoria di don Giuseppe Capone) la pianta dell’Acropoli altro non è che la proiezione della Costellazione dei Gemelli sulla Terra. La Freccia nel Templum è orientata verso la Costellazione di Orione e in quel punto sorge il sole il 21 dicembre (solstizio d’Inverno).

Sto continuando gli studi e spero al più presto di non essere più Cittadino Romano ma (forse) Cittadino Troiano.


Tofani con altri ricercatori sull’Acropoli di Alatri


AD MEMORIAM DI DON GIUSEPPE CAPONE

Ad memoriam…

            Mentre stava nascendo il nuovo anno, il 2010, ed in molti ci scambiavamo agli auguri ed auspici per l’avvenire, un personaggio di primo piano nel panorama delle ricerche storiche “non allineate” con l’ortodossia accademica imperante, ci stava lasciando.

            Consumato da una malattia che non lascia scampo, il 1 gennaio 2010, si è spento don Giuseppe Capone.
Originario di Collepardo (FR) sui Monti Ernici nel Basso Lazio, ma da una vita alatrense d’adozione. Impareggiabile figura non solo di sacerdote, ma pure di musicista, studioso e ricercatore storico del passato più misterioso della sua Terra e dell’intera Penisola.
Un impegno pluridecennale “per il quale comunità intere serbano gratitudine; impegno costante nel voler risvegliare la conoscenza ed anche l’orgoglio di un glorioso passato” come aveva recentemente sintetizzato Ornello Tofani, editore ed anche lui ricercatore di Alatri, che aveva pubblicato molte delle fatiche letterarie, saggistiche e scientifiche di don Giuseppe Capone.

            Una vita intera dedicata allo studio e dalla ricerca, costellata da ipotesi, intuizioni, scoperte che spesso hanno messo a soqquadro il quieto mondo della cultura e della scienza che contano.

            E che, come spesso avviene, nei confronti del precursori, di coloro che tracciano nuove vie, che sognano altri orizzonti, oltre il quotidiano conformismo, hanno riservato a don Giuseppe Capone, disinteresse, snobistiche alzatine di spalle, qualche risolino ironico, se non addirittura disprezzo.

            Ma lui, forte degli insegnamenti evangelici di Gesù Cristo, ha sempre perdonato, porto l’altra guancia ed ha proseguito imperterrito in quella che riteneva una vera e propria missione.
Dopotutto Cristo stesso ci ha detto
et Veritas vos liberabit

            E don Giuseppe Capone ha sempre cercato soltanto la Verità. Non gloria terrena, non titoli accademici, che sapeva caduchi e passeggeri…. Sic transit gloria mundi….
Soltanto e nient’altro che la Verità.

            Come appaiono ora, ora che don Giuseppe Capone, conosce la Verità Suprema, piccoli ed insignificanti tutti coloro che l’hanno osteggiato, sconfinando spesso nella volgarità e nell’invidia.

            Si può (e ci mancherebbe) non essere concordi con le ipotesi ed asserzioni, che don Giuseppe Capone ha affidato a numerosi libri e pubblicazioni, ma si devono riconoscere i suoi meriti umani e di studioso.

            Una cosa sono il sano dibattito, il confronto anche serrato, lo scambio di opinioni, le rivelazioni e scoperte che rendono improvvisamente desuete e superate le convinzioni ritenute inattaccabili. Un’altra l’intolleranza ed il tentativo di distruggere quello che si ritiene un avversario, un nemico da abbattere, semplicemente perché la pensa in maniera diversa.

            Cassare tout court il pensiero di don Giuseppe Capone, soprattutto le sue scoperte, non giova certo al progresso della conoscenza.

            Io conoscevo don Giuseppe Capone attraverso i suoi libri, che spesso (lo ammetto) mi lasciavano sconcertato, dubbioso, turbato. Ma al contempo mi incuriosivano, mi spronavano a verificare quanto da lui asserito; mi spingevano ad arrampicarmi tra le sue montagne alla ricerca dei manufatti delle opere, degli apparati da lui scoperti (o riscoperti) e descritti.

            Poi circa un anno fa, a seguito della nota vicenda della scoperta del “Cristo nel labirinto di Alatri”, ebbi modo di conoscerlo di persona. Sebbene già provato dalla malattia, mostrò una lucidità e competenza incredibili nel ricordare e disquisire sulle sue ricerche sul passato favoloso dell’Acropoli di Alatri e dell’intero territorio circostante.

            Lo scorso ottobre, don Giuseppe Capone concesse una lunga intervista, alla trasmissione “Voyager” di RaiDue. Il noto e seguitissimo programma televisivo di Roberto Giacobbo, che si occupa dei misteri insoluti del passato dell’Umanità.
Trasmissione alla cui venuta ad Alatri ho contribuito anch’io, per merito degli amici Adriano Forgione e Tommaso Pellegrini.

            In questo momento di mestizia, provo sentimenti di gratitudine nei confronti di tutti i responsabili, gli autori, i tecnici, del programma “Voyager” che hanno voluto intervistare e filmare don Giuseppe Capone.

            Quell’ultima intervista, svoltasi in una soleggiata mattinata domenicale d’autunno, è diventata una sorta di “testamento spirituale e culturale” di don Giuseppe Capone.

            Ascoltare don Capone, nel suo studio, le cui finestre si affacciavano all’oscura mole megalitica dell’Acropoli di Alatri, mentre parlava di antichi popoli senza nome che dall’Oriente erano giunti sino alle montagne dell’Italia Centrale, costruendovi vestigia che ancora oggi ci lasciano a bocca aperta, fu un esperienza indimenticabile. Ed oggi lascia il rimpianto di non averlo conosciuto prima.

            Grazie a “Voyager” ed a coloro che hanno dato un apporto, anche minimo, a far sì che la puntata su Alatri venisse realizzata; milioni di telespettatori italiani, appassionati o non di misteri, di archeologia, di storia, oppure semplici curiosi, o ancora, sognatori, potranno conoscere don Giuseppe Capone. Le sue ricerche e le sue scoperte, illustrate nel corso di quelle riprese televisive.

            Un “testamento” ed un’ammonizione. Si sta facendo davvero tutto per conoscere le pieghe più nascoste della storia di tutto il genere umano? Perché si continua a dare credito a coloro, che da soli, o in gruppi di potere, continuavano a propinarci il ritornello che tutto si è svolto come recitano i manuali scolastici? E a screditare, offendere, insultare, ostracizzare, personaggi come don Giuseppe Capone?

            Che da oggi riposa nel piccolo cimitero della sua natia Collepardo. Ma statene certi, che anche da lì continuerà ad indicarci la via maestra.

            Don Giuseppe Capone, non sembri retorica, sarà il faro, la guida, per tutti quelli, che “rifuggendo il conformismo culturale, e che per la comunità scientifica vanno considerati eretici, percorrono nuovi sentieri nelle regioni ignote della conoscenza”.

            Desidero concludere queste righe, che forse appariranno polemiche o inopportune, ma che vogliono essere soltanto un doveroso tributo ad un uomo come don Giuseppe Capone, che, lo ribadisco ancora una volta, sino all’ultimo ha ricercato la Verità, e che non ha mai perso la speranza che un giorno avrebbe trionfato, citando un passo di un suo libro.

“Vincono il tempo le memorie,
riemergono gli anni con nomi e volti,
che il cielo nostro e gli amici monti plasmarono.
Rivivono i trapassati che dormono in pace,
tracciando il sentiero ai nascituri,
e a chi con diuturna fatica,
la sua storia compone,
cullano generosi e vigili la speranza”.

 

Basso Lazio, 2 gennaio 2010
Giancarlo Pavat