Revere (MN) / Non è Natale se non c’è un abete sovraccarico di addobbi, di luccicanti palle colorate, di iridescenti, lunghe strisce argentee o dorate che simulano un improbabile innevamento. Ma come è nata l’idea di allietare le festività natalizie con un abete sotto cui porre i doni da offrire a chi ci sta più caro?

A MANTOVA E QUA E LÀ PER L’ITALIA, LA “VECIA”, LA “STRIA”… LA BEFANA “VIEN DAI MONTI A NOTTE FONDA”.



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 / Roberto Volterri
Fotografia Di Gehadad – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=8632728

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“… come è stanca e la circonda neve, gelo e tramontana…”

continua una nota filastrocca che ogni anno – almeno così era fino a metà dell’altro secolo. E chi scrive la ricorda benissimo… – accompagnava le festività natalizie che si concludevano proprio il 6 Gennaio, il giorno dell’Epifania. Non so ancora  per quale arcano motivo la strana vecchietta – ma sì, la Befana! – non venisse di buon mattino o al massimo nel primo pomeriggio, quando il sole era ancora alto e la ‘notte fonda’ non avrebbe acuito i disagi dovuti alla neve, al gelo e alla tramontana. Poi, avrebbe anche potuto trasferirsi in città, in un bell’attico e abbandonare i disagevoli ‘monti’! Ma, ben si sa, imperscrutabili sono i pensieri delle Befane di tutto il mondo…
Epifania abbiamo detto? Epifania da cui deriva il non bellissimo nome dato alla nostra cara vecchietta che vola a cavallo di una scopa. Epifania che deriva dall’aferesi del latino Epiphania, ovvero ‘apparizione’, termine mutuato dal greco antico, con lo stesso significato. Poi, verso il III secolo le comunità cristiane designano con il  termine ‘epifania’ ogni manifestazione divina del Salvatore e, in particolare, l’adorazione del Divin Fanciullo da parte dei Re Magi.

Ma perché scegliere proprio un’attempatissima signora, con un bitorzoluto naso e un fisico non proprio da pin-up, a rappresentare una festa che celebra la nascita di Gesù, festa che è attesissima, con ansia, da qualsiasi bambino e, perché no, da qualche adulto in vena di nostalgici ricordi? Un’ipotesi che ha riscosso abbastanza consensi identifica la Befana come sopravvivenza di una figura arcaica, simbolo di Madre Natura che, giunta alla fine dell’anno invecchiata e rinsecchita, appare come una ‘comare secca’, come una vecchia da… ‘bruciare’. Cosa  questa che avviene, ad esempio, in provincia di Mantova dove la ‘vecia’, la ‘stria’, insomma la ‘strega’ che rappresenta la Befana, viene posta su un rogo ricco di amare ‘castagne cavalline’ che scoppiettano al fuoco come veri petardi. Se vogliamo, la Befana sarebbe una sorta di metafora del ‘Vecchio Testamento’ che si rinnova con l’avvento del Cristo e di una ‘Nuova Alleanza’, un nuovo corso della Storia.

Una romantica interpretazione di questo arcaico rito – a cavallo tra la religiosità popolare e reminiscenze di antichissimi culti pagani – sostiene inoltre che tali fuochi si accendano affinché la Madonna possa asciugare i pannolini del Bambin Gesù e possano illuminare la via ai Magi che portano i regali…
Dal ‘rogo’ della ‘vecia stria’, della Befana, nasce il ‘carbone’ per i bimbi ‘cattivi’ (lo ricordo dolce e, forse, al sapore di menta!) che simboleggia l’energia latente della Madre Terra, pronta a rivivere, a rinnovarsi con il nuovo anno.

In fin dei conti è una cerimonia simile a quella denominata ‘Sega-la-Vecchia’ – diffusissima negli anni Cinquanta in alcun regioni italiane e ancor viva in Campania, ad Alife – rito tipico della mezza Quaresima: una volta ‘segata’, la ‘Vecchia’ offre una piccola cascata di regali e dolciumi che rappresentano i ‘semi’ grazie ai quali ella risorgerà a primavera come una Madre Natura ‘giovinetta’ e pronta ad affrontare altri lunghi mesi di intenso lavoro, di avversità, di gioie, di vita.

Non è Natale se non c’è un abete sovraccarico di addobbi, di luccicanti palle colorate, di iridescenti, lunghe strisce argentee o dorate che simulano un improbabile innevamento. Ma come è nata l’idea di allietare le festività natalizie con un abete sotto cui porre i doni da offrire a chi ci sta più caro?
Spostiamoci nella Germania del VII secolo dove, a Geismar, incontriamo un monaco e missionario nato in Britannia, a Winfrid, mentre è tutto preso dalla sua predicazione sulla Natività ad una tribù di Druidi. Il nostro monaco, poi divenuto San Bonifacio, cerca di convincere quei pagani che la quercia non è affatto sacra e inviolabile e poiché un’immagine vale più di mille parole, ne abbatte una. Il povero albero schiaccia tutti i cespugli posti sulla traiettoria di caduta, ad eccezione di un piccolo abete. Un caso? E abbastanza probabile, ma il buon Bonifacio approfitta dell’occasione ed enfatizza l’evento stabilendo che l’abete diventi l’albero consacrato al Bambino Gesù e che la festività in cui si ricorda la nascita del Salvatore sia sempre ricordata mediante un piccolo abete posto  nelle abitazioni.
Secoli più tardi, nel 1561, un apposito decreto forestale emanato nella cittadina di Ammerschweier, in Alsazia, stabilisce le massime misure dell’abete, mentre compaiono sugli alberi delle natalizie festività decorazioni costituite da rose di carta, mele, cialde, dolci, e piccoli doni.
Corre voce che fu Martin Lutero, grande riformatore protestante del XVI secolo, ad aggiungere le candeline sull’albero di Natale. L’idea gli viene mentre in una fredda nottata invernale si dirige verso la sua abitazione e nota la bellezza del cielo stellato intravisto tra le fronde di un albero. Per ricostruire nella sua casa l’immagine che tanto lo ha colpito e rivivere quei momenti, fissa ai rami del suo abete di Natale dei piccoli ceri accesi. Già nel XVIII secolo appare diffusissima in Germania la tradizione del ‘Christbaum’, ovvero dell’”albero di Cristo” e da qui si diffonde rapidamente in tutta l’Europa occidentale.

In America la tradizione dell’albero di Natale arriva con i primi immigrati tedeschi in Pennsylvania intorno al 1821, a dispetto di varie leggi risalenti addirittura alla metà del Seicento che penalizzano qualsiasi usanza relativa al 25 Dicembre  non legata ad  una precisa funzione religiosa. Nel 1800 sul Godey’s Lady’s Book, una diffusa pubblicazione destinata al pubblico femminile, tramite espliciti, graziosi ed umoristici disegni fornisce alle famiglie suggerimenti per preparare dolci e luculliani pranzi, ma soprattutto per decorare l’albero di Natale ormai presente in ogni casa.


Un raro numero del 1864 della pubblicazione  femminile Godey’s Lady’s Book  suggeriva alle gentili signore dell’Ottocento anche come abbellire l’albero di Natale.

La rivista raggiunge anche un altro obiettivo: quello di far capire alle casalinghe d’oltreoceano che il Natale non è solo un giorno da santificare con solennità, ma è anche una circostanza da vivere con allegria, con serenità, in piena armonia.
Almeno nei limiti imposti dalla solita frenetica, quotidiana, esistenza…


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