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AQUINO (FR)
COSA CI FANNO MAIS E CACTUS IN UNA CHIESA MEDIEVALE DELLA CIOCIARIA?



CHI E' ARRIVATO PER PRIMO IN AMERICA?
MAIS E CACTUS IN UNA CHIESA MEDIEVALE DELLA CIOCIARIA?
I MISTERI DELLA CHIESA DI SANTA MARIA DELLA LIBERA AD AQUINO.

di Giancarlo Pavat, con la collaborazione di Sonia Palombo

I capitoli di questa scheda sono:
Mais su chiese medievali, prova della scoperta dell'America prima di Colombo?
La chiesa di Santa Maria della Libera
La Triplice cinta
Cosa ci fanno mais e cactus in una chiesa medievale della ciociaria?
Ma come sarebbero arrivate simili piante (sempre che si tratti davvero di cactus) nel Basso Lazio medievale?
Templari e incredibili coincidenze


Area archeologica di Aquino

Mais su chiese medievali, prova della scoperta dell'America prima di Colombo?

Negli ultimi anni, grazie agli studi ed ai libri di Ruggero Marino su Cristoforo Colombo ed il vero ruolo di papa Innocenzo VIII e della Chiesa di Roma nei viaggi oltre Atlantico, e di Elio Cadelo sulle conoscenze geografiche e marinare delle antiche civiltà, in particolare Greci e Romani, è tornata prepotentemente all'attenzione di un pubblico più vasto, la vexata quaestio su chi sia arrivato per primo (ed in quale modo) nel continente americano.
Attualmente soltanto l'approdo dei Vichinghi, in Canada, è stato incontestabilmente dimostrato da scavi e scoperte archeologiche, grazie alle ricerche portate avanti negli anni '60 del secolo scorso, dagli archeologi norvegesi Helge Ingstad ed Anne Stine, presso l’Anse aux Meadows sull’Isola di Terranova.


Chiesa di S Maria della Libera
in primo piano due macine in pietra

Per tutti gli altri, Fenici, Cartaginesi, Egizi, Ebrei, popolazioni dell'Africa Equatoriale, Greci, Etruschi, e soprattutto Romani, esistono numerosissimi indizi, oggetto di feroci diatribe tra ricercatori "di confine" ed l'"archeologia ufficiale".
Gioverà ricordare rapidamente alcuni di questi indizi. Tratti sia da scoperte fortuite che da testi letterari ed opere d'arte tramandateci dalla Classicità.
Ad esempio, nel 1886, sull’isola di Galveston, di fronte alle coste del Texas (Usa). sarebbe stata scoperta una imbarcazione del IV secolo d.C. ed alcune monete, identificate come Romane.
Nel 1933, durante uno scavo presso il sito archeologico della valle di Toluca a 60 km da Città del Messico, venne alla luce, all’interno di una tomba azteca inviolata, risalente al 1500, una statuetta in terracotta nera, che finì, dimenticata da tutti, in un deposito del museo della capitale messicana. Finché nel 2000 lo studioso statunitense Roman Hristov, la riscoprì ed incuriositosi per lo stile ed il volto barbuto raffigurato, la fece analizzare dai laboratori del prestigioso Max Plank Institut di Heidelberg. in Germania. Dalle analisi mediante la termoluminescenza è emerso che la terracotta risale al II secolo d.C. ed effettivamente sarebbe di fattura romana.


Chiesa S Maria della Libera

Da giovane, al Liceo Classico "Dante Alighieri" di Trieste, ho studiato e tradotto passi della celeberrima "Medea" dell'uomo politico, filosofo e scrittore latino Lucio Anneo Seneca (4 a.C. - 65 d.C.). Uno di questi passi ha tolto il sonno a stuoli di studiosi e geografi, tra cui lo stesso Cristoforo Colombo. E' infatti accertato che, non solo conoscesse l'opera di Seneca, ma addirittura che, durante il suo viaggio conclusosi il 12 ottobre sulle spiagge di San Salvador alle Bahamas, avesse con se una copia della Tragedia.
Ecco che cosa scrive Seneca (vv. 375-379);
venient annis specula seris
quibus Oceanus vincula rerum
laxet et ingens pateat tellus
Tethysque novos detegat orbes
nec sit terris ultima Thule
“.. e tempo verrà che l’Oceano aprirà fin l’ultime barriere e scoperto oltre il mare s’offrirà un mondo nuovo, né più sarà Thule l’ultima terra”.
Seneca era a conoscenza dell’esistenza di una terra aldilà dell’Oceano? La risposta è decisamente affermativa.
Un altro romano, originario di Como nella Gallia Cisalpina, Gaio Plinio Secondo, passato alla storia come Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), morto durante l’eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei, Ercolano, Stabia ed Oplonti, nella sua famosa “Naturalis Historia”, sorta di enciclopedia del Mondo Antico, parla del “miglio indiano”. Molte statue di divinità indù, ancora reggono quelle che sembrano pannocchie di mais. Il “miglio indiano” di Plinio era forse il mais: ma questa pianta, ufficialmente, non è arrivata in Europa prima del XVI secolo, ovvero ben dopo la “scoperta” dell’America”.


Portale di S Maria della Libera

Ma pure altri prodotti del “Nuovo Mondo” fanno capolino, qua e là, nell’arte figurativa romana. Al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo a Roma, è conservato un mosaico, datato tra il I° sec. a.C. ed il I° d.C., trovato in una località chiamata “Grotte Celoni”, poco distante dalla “Città Eterna”, in cui si può osservare un ananas.
Altri ananas si possono vedere a Pompei. Nella cosiddetta “Casa dell’Efebo” si trova un affresco, in cui è effigiato un “Genio familiare” che offre proprio questo frutto all’altare dei “Lari”.
Ed è sempre un ananas e non un grappolo d'uva, come si trova scritto nella stessa didascalia della teca museale, ad essere impugnato con la mano sinistra da una statuetta romana del III° secolo d.C., esposta al "Musèe d'Art et d'Histoire" di Ginevra in Svizzera.
Diodoro Siculo (90 – 27 a.C.) nella sua “Biblioteca Storica” parla di “un isola di notevole grandezza”, che si trova “in alto mare” al largo dell’Africa, a “parecchi giorni di viaggio verso Occidente”. Vi descrive grandi montagne e fiumi navigabili. Elementi geografici che non si trovano né alle Canarie, né alle Azzorre. Ma certamente sono riscontrabili nel continente americano.

Non solo l'Età Classica, ma pure il tanto vituperato Medio Evo, ritenuto a torto, un periodo di ignoranza ed oscurantismo, ci ha tramandato numerosi indizi che sembrano attestare, con pochi dubbi, la conoscenza e frequentazione del continente aldilà delle Colonne d’Ercole.
Famosissima è l’inspiegabile (secondo i canoni della “scienza ufficiale”) citazione Dantesca della “Croce del Sud”, nella cantica del Purgatorio (vv. 22-24 Canto I).;
I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
a l’altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch’a la prima gente
Costellazione, com’è noto, non visibile dall’Emisfero Settentrionale. Quindi per forza di cose si deve ammettere che audaci navigatori si siano spinti oltre le Colonne d’Ercole ed a sud dell’Equatore. Una volta rientrati in Europa avevano narrato le proprie esperienze, informazioni che erano poi circolate in determinati ambienti esoterici, iniziatici, depositari di un “Sapere” dimenticato, accessibile solo a pochi; come, ad esempio, il “Sommo Poeta”.
Altre “tracce” sono, anche in questo caso, raffigurazioni di frutti e piante “americane”.

La chiesa di Santa Maria della Libera

Alcune di queste si possono tranquillamente vedere in una chiesa medievale della Ciociaria; Santa Maria della Libera, che sorge nell’area archeologica dell’antica ”Aquinum”, a due passi dalla città di Aquino. La quale, nel Medio Evo, faceva parte del Regno normanno del Sud e che ha dato il nome alla Famiglia Comitale di stirpe normanna-longobarda dai cui lombi è uscito il filosofo e Santo della Chiesa Cattolica; Tommaso, il "Doctor Angelicus" (1225-1274).
Ricordiamo che, nonostante ad Aquino, al visitatore venga fatto vedere uno splendido edificio medievale con una bifora decorata da una grande spirale, indicandolo come la "Casa natale del Santo", continua ancora oggi l'antica diatriba con Roccasecca (altra cittadina in provincia di Frosinone), su quale delle due località abbia dato i natali a San Tommaso. Nell'Abbazia di Montecassino, è conservato un documento che attesta: "Non Aquini natus est Angelicus doctor sed in castro salubrioris aeris quod Roccasecca etiam nunc vocatur ad radices cairi montis".


Bifora con spirale della Casa di S Tommaso

L’erudito viaggiatore e storico prussiano del XIX Ferdinand Gregorovius (1821-1891) scrisse testualmente "…non in Aquino ma lassù nel pittoresco borgo di Rocca Secca nacque Tommaso nell'anno 1224".
Nel 2002, un noto studioso ed agiografo calabrese, don Bruno Sodaro ha dato notizia agli organi di informazione di aver rinvenuto nella Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, un documento autografo di San Tommaso, nel quale si firma come “Tommaso da Belcastro”. La tesi non è nuova. La sostenne lo storico e sacerdote calabrese Gabriele Barrio (1506-1577) nella sua opera "De antiquitatae et situ Calabriae". Il libro è consultabile presso la Biblioteca Nazionale di Roma. Ho avuto modo di leggerlo e francamente le prove portate a sostegno della propria tesi dal Gesuita lasciano perplessi e difficilmente possono essere scartate a priori.


Torre del castello comitale

L’ipotesi dell’origine calabrese di San Tommaso venne poi ripresa nel XVII secolo anche da un’altro erudito, ovviamente sempre calabrese, fra' Giovanni Fiore da Cropani.
Belcastro è un paese della Sila Piccola, a poca distanza dal Mar Ionio, oggi in provincia di Catanzaro. Di origini altomedievali, fu a lungo un feudo dei Conti d'Aquino, dei quali è sopravvissuto il corrusco castello. Il padre di Tommaso, Landolfo di stirpe longobarda, veniva indicato come "conte di Loreto (Aprutino, in provincia di Pescara) e Belcastro". Per altre notizie ed informazioni si consiglia di consultare il sito www.belcastroweb.com, in cui, con buona pace dei ciociari, la località viene definita, appunto, “paese natale di San Tommaso”.


Chiesa diruta di S.Lorenzo o S.Tommaso

L’attuale Aquino è stata ricostruita dopo i devastanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, dell’epoca medievale sono sopravvissute alcune testimonianze. Oltre alla cosiddetta “Casa di San Tommaso”, trattasi in realtà del palazzo comitale del XII secolo, si ha pure la bella torre che sorge a poca distanza dallo stesso.
L’Aquinum romana, che ci riguarda più da vicino in relazione a Santa Maria della Libera, invece, ha dato i natali a due eminenti personaggi storici. Il poeta satirico Decimo Giunio Giovenale (55-127 d.C.) ed il generale, ed effimero imperatore romano, Pescennio Nigro 140-194 d.C.).
Tornando a Santa Maria della Libera, si consiglia di raggiungerla partendo dalla “porta urbica” del I° secolo a.C., nota come “Porta Capuana” o “Porta di San Lorenzo”.


Porta Capuana - I sec AC

Un vero e proprio tuffo nel passato, è quello che vi invitiamo a fare. Passando sotto il colossale monumento, si calcheranno, proprio come i viandanti di tanti secoli fa, i basoli dell’antica via Latina (II° secolo a.C.). Che da Roma, dopo un percorso di circa 200 chilometri, raggiungeva Capua, dove si univa all’Appia, la "Regina viarum".
Guardandosi attorno, si noterà che l’intera campagna circostante è un vero e proprio museo a cielo aperto. Letteralmente disseminata da imponenti resti monumentali. Ad esempio l' “Arco onorario” del I° secolo a.C. che la leggenda vuole costruito nel giro di una notte in onore di Marco Antonio.
Molti elementi lapidei sono raccolti ed esposti nel piccolo ma interessante Museo Archeologico locale, ma altri sono stati riutilizzati nel corso dei secoli. Ne fa testo, ad esempio, la diruta chiesetta di San Lorenzo (detta anche di San Tommaso) che si incontra lungo la via Latina (aguzzate la vista! A pochi metri dalla chiesetta, su un grande blocco di marmo bianco, buttato lungo l’arteria si riconosce un esemplare del simbolo della Triplice Cinta. “Signum” decisamente di casa ad Aquinum, come vedremo tra breve).
E, soprattutto, la stessa Santa Maria della Libera. Costruita in un arco temporale che va dal XI al XII secolo, e conclusa nel 1127), si presenta in stile romanico, e si eleva sulle rovine del Tempio di Ercole Liberatore (da cui è derivato il nome).
In particolare il suo sagrato corrisponde all'antico podio del “Templum”. I materiali di spoglio e reimpiego si notano ovunque. Sulla facciata, sulle pareti laterali, sia interne che esterne. Persino l'altare non è altri che un sarcofago romano.

La Triplice cinta

Per i fruitori di questo sito internet, appassionati di simboli e misteri, Santa Maria della Libera può costituire un piccolo, prezioso, scrigno.
I gradini ed il sagrato sono costellati da diversi esemplari, almeno sette, del simbolo costituito dai tre quadrati concentrici, con quattro segmenti che collegano i punti mediani dei lati e, in alcune versioni, con altri quattro che uniscono tra loro gli angoli ed il centro del quadrato.
Ritenuto un semplice passatempo, le Tabule lusoriae” dei Romani, si tratta in realtà del “Signum” noto come "Triplice Cinta".


Triplice Cinta lungo la via Latina

Difficile credere che siano state incise soltanto per fini ludici, che sicuramente ci sono stati. Io concordo con uno dei più grandi ricercatori del mistero, Umberto Cordier, laddove scrive “questo schema grafico è antichissimo. Secondo Platone la capitale di Atlantide aveva tale struttura, le cinte però erano circolari. Los i torva fra le civiltà preistoriche e megalitiche, ed è la Triplice Cinta druidica delle mura dei Celti. Nella Bibbia è il cortile con tre ordini di pietre del tempio di Salomone ma anche la Gerusalemme Celeste con dodici porte. Nel Medio Evo la si trova in varie versioni nelle cattedrali gotiche e venne adottata dai Templari. Il simbolo ha numerosi e complessi significati. Richiama l’idea del Centro sacro, e anche dei tre livelli essenziali della realtà e dei tre gradi di iniziazione”.
Tra quelle visibili sul sagrato di Santa Maria della Libera, particolarmente interessanti sembrano essere gli esemplari con al centro, rispettivamente, un “otto” rovesciato ed una croce.


Triplice Cinta con croce al centro, incisa sul sagrato

Si è già accennato che il simbolo della Triplice Cinta è stato utilizzato soprattutto nel Medio Evo, soprattutto dai Cistercensi e dai Cavalieri Templari. Come dimostrano gli esemplari visibili in siti indiscutibilmente appartenuti ai “Cavalieri con il Valcento”. Come negli ambienti ipogei di Osimo, oppure presso la Torre Templare di San Felice Circeo. Un’altra Triplice Cinta fa bella mostra di se nella "Domus" dell'Ordine a Frosini in Maremma, poco distante dall’Abbazia di San Galgano. Ed anche qui è visibile un simbolo molto rovinato che sembra essere una Triplice Cinta. Ma pure dagli altri Ordini monastico-cavallereschi.


Triplice Cinta con otto rovesciato al centro

Come attestato dalla splendida Triplice Cinta, con al centro una piccola “croce greca”, incisa sul basolo del pavimento originale della chiesa di Sant’Antonio Abate a Priverno (LT), appartenuta all’Ordine monastico-ospitaliero degli Antoniani.

Cosa ci fanno mais e cactus in una chiesa medievale della ciociaria?

Ma se alziamo lo sguardo dalle "Triplici Cinte del sagrato di Santa Maria della Libera ed osserviamo attentamente la facciata, in particolar modo il portale centrale, non si potrà fare a meno di notare altri elementi decisamente inconsueti.
L'architrave e gli stipiti si presentano impreziositi da un fregio con ornamenti vegetali. Tra cui spiccano strani fiori o baccelli che, pubblicazioni sul monumento, indicano come foglie d'accanto.
Queste piante, celebri per essere state imitate, in epoca Classica, nella lussureggiante decorazione dei capitelli corinzi, non mi sembrano avere tutta questa somiglianza con il bassorilievo di Santa Maria della Libera.
Molti ricercatori, tra cui l’amico Giulio Coluzzi, hanno fatto notare che sembrano pannocchie di granoturco.
Constatazione, che, ovviamente, non può che venire rigettata dalla "vulgata" ufficiale.
Pannocchie in una chiesa completata nel XII secolo? Impossibile.
Eppure quella decorazione esiste, eccome. Si può discutere su che cosa sia davvero raffigurato sul portale, ma non è certamente ignorandolo tout court che si potrà far luce su questo enigma.
I tre elementi lapidei che formano architrave e stipiti potrebbero essere materiali di reimpiego di epoca romana. E quindi anche le "pannocchie" risalirebbero a quell'epoca.


Pannocchie di mais del portale

Ma sempre a Santa Maria della Libera esiste un altro manufatto, questo senza ombra di dubbio medievale, con un curioso particolare. Anzi, due particolari.
Sono stati segnalati per la prima volta dal ricercatore abruzzese Tommaso Pellegrini, e sembrano proprio confermare l'ipotesi di rapporti transoceanici.
Il portale con le "pannocchie" è sovrastato da una lunetta a sesto acuto, abbellita da un mosaico in stile bizantino, che raffigura una Vergine con il Bambino benedicente che nella mano sinistra stringe un rotolo.
Ai lati della Vergine sono rappresentate le due defunte (visto che si trovano all’interno dei rispettivi sarcofagi) Ottolina e Maria, nobildonne della stirpe degli "Aquino", benefattrici della chiesa. Come indicato dalle lettere V e F, visibili sulla sinistra, che starebbero per "votum fecit". In riferimento, appunto, alla donazione (o del mosaico o addirittura della chiesa stessa) fatta a scioglimento di un voto.


Pannocchie di mais del portale


Questa è il mais sulla chiesa di Caramanico Terme
Fin'ora ne sono state individuate in Italia solamente due.

Sopra i sarcofagi si vedono due palme formate da tre foglie ciascuna. Ma si tratta davvero di palme? A Pellegrini sono sembrate invece due piante di cactus, con tanto di spine sui vari rami.
Queste piante dette xerofite, adatte ad ambienti aridi, prendono il nome dalla parola greca “Cactus”, ovvero “spinosa” con cui si indicavano sin dall’antichità certe specie di cardi diffuse nel Mediterraneo; e provengono, proprio come il mais, dal Nuovo Continente.


Lunetta del portale
(si notano ai lati di Maria i "cactus")

Ma come sarebbero arrivate simili piante (sempre che si tratti davvero di cactus) nel Basso Lazio medievale?

La storia della chiesa di Santa Maria della Libera presenta ancora molti periodi ed aspetti oscuri, che forse celano la risposta a questi misteri. Al momento sono possibili soltanto alcune supposizioni.
I "cactus" del mosaico sono forse stati riprodotti da qualche manufatto romano ivi presente, oppure le spiegazioni possono essere, ma non meno affascinanti.
Quando si parla di viaggi in "America" durante il Medio Evo, il pensiero corre soprattutto ai Vichinghi ed ai Templari.
Si è sottolineato che Aquino faceva parte dei possedimenti dei Normanni, discendenti da quegli avventurosi, scaltri, coraggiosi navigatori vichinghi che avevano sfidato le gelide acque dell’Atlantico settentrionale, arrivando in Islanda, Groenlandia e sulle isole e coste canadesi.
Dalla Scandinavia, tramite la Normandia, i racconti, le gesta, le notizie sui viaggi dei “biondi lupi del Nord” possono essere arrivate nei territori dell’antica contea longobarda?

Templari e incredibili coincidenze

Per non parlare del ruolo della Chiesa di Roma. Quanto e cosa sapevano esattamente coloro che all’epoca erano i custodi e depositari della cultura e delle conoscenze scientifiche?
E’ noto che i figli di Erik il Rosso, Leif Erkson e Thorstein, sbarcarono nel Vinland, ormai identificato con Terranova. Ma pochi sono a conoscenza che la moglie di Thorstein, Gudrid, rimasta vedova si risposò con un altro intrepido navigatore, anche lui sbarcato in America nel 1020, di nome Thorfinn Karlsefni. Morto anche il secondo marito, la donna ritornò con il figlioletto Snorri in Groenlandia e da qui, probabilmente per sciogliere un voto, partì per un pellegrinaggio a Roma!
E’ accertato che la donna raggiunse la “Città Eterna”, ed è troppo fantasioso immaginare che venne ricevuta dalla Corte Papale e che qualcuno annotò diligentemente i racconti delle donna relativi alle avventure in quelle terre lontanissime?


Basoli della via Latina

Terre certamente già note alla Chiesa. Non dimentichiamo che a Gardar, in Groenlandia esisteva un Vescovado, competente per la cura delle anime anche dei Vichinghi del Vinland.
Comunque, se la Chiesa “sapeva”; nulla vieta, che successivamente questa congerie di resoconti, informazioni, semplici chiacchiere, sia finito nelle disponibilità dell’Ordine più potente che sia mai sorto nella Cristianità.
Quello Templare.
Non va scordato, infatti, che pure costoro sono stati indicati come possibili realizzatori dello sbarco in America. Non è questa la sede per elencare tutta al serie di indizi o “prove” sul loro arrivo in America. Sono stati riempiti interi scaffali di biblioteche con i libri su questo argomento.
Rimane il fatto che al momento tale eventualità (teoricamente possibile, magari per caso, sbattuti fuori rotta da una tempesta) non è stata ancora dimostrata in maniera inconfutabile.
Tornando ad Aquino, la presenza in loco dei cavalieri dai bianchi mantelli” non è stata per il momento accertata. Quindi ogni ipotesi rimane ancora aperta.
Dopo tutto, non molto lontano dalla Ciociaria, in Abruzzo, a Caramanico Terme (PE) esiste una chiesa dedicata a San Tommaso Becket (XII-XIII), ed attribuita ai Templari che sfoggia, sulla parete esterna un concio in pietra con scolpite quelle che sembrano, anche questa volta, proprio delle pannocchie di mais.
Un’altra coincidenza?


Giancarlo Pavat e Sonia Palombo
sul sagrato di S Maria della Libera

Approfondimenti sull'argomento nel libro


Valcento
“NEL SEGNO DI VALCENTO. Viaggio nel Lazio meridionale
attraverso le simbologie Templari e degli Ordini monastico
-cavallereschi" di Giancarlo PAVAT, Edizioni Belvedere.

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(c) articolo e fotografie di Giancarlo Pavat,
con la collaborazione di Sonia Palombo


 



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