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INTERVISTA A NICOLA CAMERLENGO
Da sempre l'uomo ha avuto sempre a che fare la propria divinità. Ogni popolazione di questa terra venerava un essere supremo con aspetti particolari e a volte molto differenti tra loro. La divinità stessa, però, non era l'unica ad essere venerata, in realtà infatti, erano venerati altri esseri subordinati al Dio. Noi, oggi li conosciamo come angeli, e sono quelle potenze che hanno guidato l'uomo nelle sue imprese, sia belliche che artistiche, ma anche religiose, in quanto intermediari delle nostre preghiere a Dio. Ma chi sono in realtà queste entità? Come sono nate? Come si differenziano tra loro? Che aspetto hanno? C'è un collegamento profondo tra i nostri angeli e quelli delle prime religioni apparse sulla terra? In questa nuova intervista lo scopriremo insieme a Nicola Guglielmo Camerlengo. È giusto e doveroso presentarlo come si deve: Nicola Guglielmo Camerlengo classe 1993, sta eseguendo il dottorato di ricerca presso l'Università spagnola di Salamanca nel dipartimento di preistoria e scienze dell'antichità. Conoscitore profondo dei problemi storici e religiosi riguardo al Manicheismo e lo gnosticismo all'anterno dell'ambiente iraniano e delle aree collegate del vicino oriente e dell'Asia centrale. Inoltre, oltre che essere esperto di religioni mondiali, ha conseguito una laurea specialistica in scienze storiche ed orientalistiche presso l'Università Alma mater studiorum, università nella quale è anche laureato in storia.
Simone Leoni: Dott. Camerlengo, lei recentemente ha trattato per la rivista Fenix un tema molto interessante che ha che vedere con degli esseri intermediari tra l'uomo e Dio: gli angeli. Com'è nato il suo desiderio di parlarne?
Nicola Camerlengo: Il mio desiderio è nato dalla curiosità di scoprire il significato, non sempre chiaro, di questi intermediari. Il tutto, comunque, è avvenuto per gradi. Inizialmente mi sono avvicinato allo studio delle religioni dallo studio della Storia e della Filosofia e solo in seguito mi sono accostato allo studio della Mitologia, dapprima Cristiana e, successivamente, di contesti religiosi affini e limitrofi arrivando, infine, a quelli più lontani. Studiando questi contesti ho avuto modo di individuare un filo rosso conduttore che si esprime in sette punti, evidenziando inoltre l’origine di essi all’interno del primo monoteismo denominato Zoroastrismo o Mazdeismo.
Questi punti si identificano in:
- creazione dell’uomo
- angelologia e demonologia
- concetto di bene e male
- personificazione del bene e del male
- figure messianiche
- escatologia individuale
- escatologia collettiva
Studiando questi sette punti, infine, è sorto in me il desiderio di approfondirli iniziando dapprima con lo studio delle varie “genesi” e miti di origine, poi con le dottrine escatologiche, messianiche e quelle relative ai due principi opposti, ma complementari, giungendo infine allo studio degli intermediari.
Simone Leoni: Noi tutti li conosciamo per via della nostra dottrina cattolica, ma nelle altre religioni come vengono descritti? E in cosa si differenziano?
Nicola Camerlengo: Nelle altre religioni le figure angeliche sono molto simili per concetto, funzione e legame con gli elementi a quelle cristiane, ma dissimili nella loro rappresentazione per così dire iconografica.
Simone Leoni: Com'è nata l'Angelologia?
Nicola Camerlengo: Parlando dell’Angelologia possiamo dire che essa si presenta come l’insieme delle credenze, anche popolari, relative agli angeli. Ma vorrei anche specificare come tali figure siano nate e come si siano via via evolute nei ruoli, nell’aspetto e nelle terminologie loro inerenti.
Le figure intermedie tra l’uomo e la divinità nascono nel contesto protoindoeuropeo quando esse erano personificate in animali dotati di maestosità quali gli uccelli rapaci, i felini, i lupi o gli orsi.
Successivamente li ritroviamo nel contesto Vedico e Hindù nelle figure denominate Adìtya, come Varuna, Mithra, Aryaman, Bhaga, Ansa, Drukshi ed Indra.
In seguito, all’interno delle mitologie prima Sumero-Accadica, poi Assiro-Babilonese in cui ritroviamo le quattro figure di Ilu, Istaru, Sedu e Lamu nei quali si evidenzia il primo ruolo da essi assunto, ovvero di custodi e guardiani.
Nel contesto Assiro-Babilonese ritroviamo invece Shedu e Lamassu, chiare reinterpretazioni di Sedu e Lamu, una figura peculiare denominata Karibu dal quale proviene il termine “cherubino” ed infine le tre figure di Nabu, Papsukkal e Mummu. Ognuna di esse è legata strettamente ad ognuno dei tre grandi dei del pantheon Assiro-Babilonese:
- Nabu, protettore di Marduk
- Papsukkal, protettore di Assur
- Mummu, protettore di Inanna
Infine tutti gli esseri intermedi vengono denominati Sukkal o Sukkol.
Dal contesto appena descritto, pertanto, emerge un nuovo ruolo, oltre a quello di custodi e guardiani ovvero il ruolo di protettori. Procedendo storicamente ritroviamo questi esseri nella mitologia egizia con le figure di Iside e Maat, dee alate e da esseri denominati Hanuman, predisposti alla cura del Sole, la cui vicinanza concede a questi Protoangeli una nuova caratteristica che sarà d’ora in poi sempre presente, quella di esseri dotati di luminosità. In questi concetti elencati queste entità hanno assunto fisicamente iconografie differenti passando dalla rappresentazione teriomorfica a quella antropomorfica, pur mantenendo la caratteristica alata. In seguito nel contesto iranico ritroviamo le figure degli Amesha Spenta, raffigurati similmente ai nostri angeli. Di seguito nel contesto ebraico ritroviamo il verbo L’K che significa recapitare un messaggio o assolvere una missione. Da questo verbo si origina la parola Mal’ak, messaggero. Ecco dunque, un nuovo ruolo emergere in queste figure. Successivamente perdiamo, per un po’ di tempo, queste figure all’interno del contesto minoico per la mancata conoscenza della scrittura, la lineare A, che porta a non conoscere terminologie che possono in alcun modo richiamarle, ma grazie alla conquista micenea e con la conoscenza della lineare B, emerge un nuovo termine identificativo, quello di Akero. Da esso deriverà lo Aggelos greco classico ed Anghelos ellenistico che diverrà Angelus in latino e poi Angelo in italiano. Ci sarebbe anche da parlare della figura del Daimon che dà origine alla denominazione delle figure avverse, ma della quale parlerò magari un‘altra volta.
Simone Leoni: Come mai nei nostri testi sacri, vengono descritti solamente tre di questi esseri (Michele, Gabriele e Raffaele), quando sappiamo che ne esistono una svariata quantità?
Nicola Camerlengo: Questa affermazione non è del tutto vera poichè, in realtà, gli altri esseri appaiono nei testi sacri, ma di tipo eterodosso, come, ad esempio, nei tre libri di Enoch.
Simone Leoni: Si dice che gli angeli in realtà, non siano altro che una diretta emanazione di Dio. Non solo infatti questi esseri hanno nel loro nome il suffisso El (Dio per l'appunto), ma possiedono, secondo la tradizione, dei doni (poteri) propri di Dio. È esatto?
Nicola Camerlengo: Sì e no. Se si vuole dare credito al contesto iranico, esse possono essere considerate sia come ipostasi divine, sia come entità individuali come, appunto, nelle figure degli arcangeli Mazdei o Amesha Spenta:
- Vohu Manah, il Buon Pensiero, associato alla Vacca Benefica
- Ardwahist, la Verità, associato al Fuoco (anche se nel contesto zoroastriano il fuoco è impersonificato dal figlio di Ahura Mazda, Atār)
- Sharewar, il Potere, legato ai metalli ed all’aria
- Spandarmat, l’Umiltà, alla terra
- Amurdad, l’Integrità, all’acqua
- Hordad, l’Immortalità, alle piante ed alla natura in generale
- Spenta Mainyu, allo Spirito, associato all’uomo (anche se esso è identificato come lo spirito divino e pertanto dio stesso).
Se si vuole calcolare invece il contesto occidentale, abramitico, esse sono figure individuali. Per quanto riguarda la terminazione “El” presente nei nomi angelici, è definita come nome teoforico ovvero un nome proprio che contiene ed esprime il concetto di Dio, tanto a fini di diffusione del nome sacro, quanto per invocarne la protezione sulla persona che lo porta. I poteri degli angeli derivano:
- dal ruolo loro affidato da Dio stesso
- dagli elementi ai quali sono associati
I ruoli da me identificati sono:
- Glorificatore
- Guerriero
- Messaggero
- Custode
- Guardiano
- Sapiente
- Rivelatore
- Curatore
- Guida
- Protettore
Simone Leoni: Questi esseri sono reali? E se non lo sono, come possono essere classificati?
Nicola Camerlengo: Rispondere a questa domanda è questione di fede. Se non si crede nella loro esistenza, essi potrebbero benissimo essere classificati come personaggi di fantasia che hanno la loro fonte più remota nella natura e, in special modo, nella fauna dotata di maestosità.
Simone Leoni: Molti esoteristi vedono negli angeli un collegamento diretto con gli astri. Ci spieghi meglio.
Nicola Camerlengo: Credo che questo sia sempre dipeso da un mero contesto “geografico”. Mi spiego meglio. Se Dio vive al di fuori dell’universo od al di sopra del multiverso, se seguiamo alcune ipotesi della fisica teorica e l’uomo vive sulla Terra, l’Angelo essendo intermedio tra i due vivrà necessariamente in un contesto intermedio quale appunto lo spazio esterno impersonificato dagli altri pianeti o stelle, le quali vegliano su di noi. Inoltre dal punto di vista astrologico il fatto che gli angeli abbiano influenza sull’uomo è dovuto alla credenza dell’influenza appunto degli astri nella vita dell’uomo stesso.
Simone Leoni: Per quanto riguarda le tradizioni gnostiche, come vengono descritti questi esseri?
Nicola Camerlengo: Per cogliere la figura dell’angelo nello gnosticismo dobbiamo, inizialmente, affrontare l’origine e lo sviluppo di questo movimento nonché il suo elemento caratterizzante: la Gnosi, che significa “Conoscenza”. Essa non è, difatti, acquisibile unicamente tramite l’indagine logica o con la meditazione mistica ed ascetica, ma anche e soprattutto con la rivelazione di essa, nell’iniziazione dei misteri, a coloro ritenuti meritevoli per accoglierla. Una definizione alquanto incompleta della corrente, eretta sull’etimologia della parola, può essere: “dottrina della salvezza tramite la conoscenza”.
Laddove il cristianesimo tradizionale (così come definito dai concili ecumenici) pensa che l’anima consegua la salvezza dalla perdizione eterna per Grazia Divina essenzialmente tramite la fede, per lo gnosticismo viceversa la salvezza dell’anima è causata da una forma di conoscenza superiore ed illuminata dell’uomo, del mondo e dell’universo, frutto dell’esperienza personale e di un tragitto di ricerca della Verità. Gli gnostici pertanto erano “persone che sapevano” e la loro sapienza li organizzava in una classe di esseri superiori, il cui status presente e futuro era fondamentalmente distinto da quello di coloro che, per qualsiasi movente, non conoscevano. Le origini dello gnosticismo sono state per duraturo tempo oggetto di polemica e sono attualmente un’affascinante soggetto di studio. Più queste origini vengono esaminate, più sembra che le sue radici affondino in epoca precristiana.
Laddove in antecedenza lo gnosticiscmo veniva percepito specialmente quale una delle eresie del Cristianesimo, sembra che le prime tracce dei sistemi gnostici possono essere trovate già alcuni secoli prima dell’era cristiana. Al quinto congresso degli orientalisti (Berlino, 1882) Rudolf Kessler fece constatare la connessione tra “gnosis” e “religione babilonese”, non la fede autentica della Babilonia, ma il culto sincretistico formatosi dopo la conquista della regione da parte di Ciro il Grande. Sette anni più tardi Wilhelm Brandt pubblicò la sua “Mändaische Religion”, in cui esponeva la religione Mandea. In siffatta composizione l’autore dimostrò che questa fede è una forma così limpida di gnosticismo da essere prova che lo stesso sia esistito autonomamente ed anteriormente al Cristianesimo. Ancora in quest’ultima fede citata, l’angelologia e la demonologia sono simili agli altri sistemi avendo, al proprio interno, le figure dei sette arcangeli e dei sette arconti avversi.
La divinità somma è rappresentata da Malka-d-nhura, il Re della Luce, coadiuvato dai sette, ovvero Manda-d-hiia (gnosi di vita), Yosamin, Abatur, Pira, Ayar, Mana e Yardina; in opposto troviamo Malka-d-suka, il Re delle Tenebre, coadiuvato da ‘Ur, Ruha, Ptahil, Bel, Nirig, Gaf e Tibil. Tornando allo gnosticismo più generico possiamo dire che molti studiosi, invece, hanno ricercato la fonte delle teorie gnostiche nel mondo ellenistico e, principalmente, nella città di Alessandria d’Egitto. Nel 1880 Manuel Joël cercò di provare che l’origine di tutte le teorie gnostiche dimorava in Platone. Anche se la tesi su di lui può essere affermata quale forzatura, l’influenza greca sulla comparsa e sull’espansione dello gnosticismo non può essere confutata. In ogni caso, che la riflessione alessandrina abbia avuto una qualunque ascendenza, per lo meno nell’accrescimento dello gnosticismo cristiano, è dimostrato dal fatto che la maggior parte della produzione letteraria gnostica, di cui siamo in possesso, proviene da fonti egiziane. Anche se le origini dello gnosticismo sono ancora avvolte nella notte dei tempi, molta luce è stata fatta sull’argomento grazie al lavoro unito di molti studiosi.
Lo gnosticismo, a prima vista, può apparire quale mero sincretismo di tutti i sistemi religiosi dell’antichità (religioni misteriche, astrologia caldea, persiana, zoroastrismo, ermetismo, kabbalah, filosofie ellenistiche, giudaismo alessandrino, mandeismo e cristianesimo primitivo), ma, in concreto, ha una radice profonda, archetipale, la quale ha assimilato in ogni substrato culturale quello di cui abbisognava per la sua vita e per la sua maturazione: la causa portante di questo filone di pensiero è il pessimismo filosofico e cultuale, anche se questa ultima affermazione è da presumersi fuorviante, poiché essi presero in prestito, quasi assolutamente, la loro terminologia dalle fedi esistenti esclusivamente per descrivere la loro grande idea del male congenito nell’esistenza ed il dovere di allontanarsene con l’aiuto di incantesimi e di un salvatore sovrumano, pertanto è data aspettativa all’uomo di salvezza, dunque questo pessimismo accreditatogli non è difendibile.
Sebbene il pensiero gnostico inizia a perdere importanza dal quarto secolo, esistono tracce della continuità di tali ideazioni nella storia del pensiero religioso e filosofico occidentale fino ai giorni nostri, sia nei movimenti medievali quali il paulicianesimo in Armenia, dal quale è derivato il bogomilismo bulgaro e da quest’ultimo poi il catarismo, sia negli ambienti mandei e tommasini odierni. Nella sua totalità, la corrente non ebbe mai un’autorità capitale che ne equilibrasse la conoscenza o l’insegnamento. Vi erano varie sette, dalle quali la sola marcionita cercò in qualche modo di imitare la costituzione della Chiesa, ma senza risultato. L’unica ripartizione possibile di esse si può pertanto poggiare sulla loro linea di pensiero. Si possono distinguere perciò: siriano/semitiche, ellenistiche/alessandrine, dualistiche ed antinomiane.
Lo gnosticismo teorizzava che da Dio quale primo Eone fossero state concepite più coppie della stessa natura, composte sempre da uno maschile e da uno femminile. Da qui dunque la natura sia maschile che femminile di Dio (inteso come madre e padre assieme). Dio e gli Eoni nel loro composito formavano il Pleroma.
In Valentino compongono coppie antitetiche dette Syzygoi:
- profondità e silenzio, che generarono
- mente e verità, questi produssero
- ragione e vita, questi di nuovo
- uomo e stato (ekklesia), ed infine questi ultimi
- Cristo e Sophia, dalla quale nacque il
- Demiurgo, creatore del mondo materiale.
Inoltre, dalla sua potenza intellettiva, Dio creò le gerarchie angeliche; tra esse ritroviamo le figure dei sette arcangeli che vennero elevati a consiglieri divini e messaggeri celesti:
- Mikael, intelletto universale, potestà di Dio, visione di Dio
- Gabriel, verbo e voce di Dio
- Raphael, medicina di Dio
- Kamael, forza, fuoco, potenza
- Tsadkiel, magnificenza e grandezza di Dio, giustizia
- Haniel, grazia e luce, amore e splendore divino
- Zaphkiel, scienza, sapienza e luce
Di contro vi erano sette arconti avversi:
- Saklas
- Jao
- Sabaoth
- Astaphaios
- Adonaios
- Ailoaios
- Oraios
Simone Leoni: Sia nella Bibbia, sia nei testi apocrifi (come nel libro dei vigilanti), ci viene descritta l'unione tra questi esseri e le donne terrestri. Come possiamo interpretare questi racconti?
Nicola Camerlengo: È noto che la trama del Libro dei Vigilanti in 1 Enoch 6-16, comunemente chiamato "il mito dei Vigilanti", è una vecchia tradizione che si intreccia con una nuova preservata in Genesi 6 (v. 1-4) che è posta prima della storia del Diluvio Universale. Sebbene alcuni abbiano sostenuto che la storia di Enoch sia alla base piuttosto che dipendere dalla Genesi 6: 1-4, è più facile lavorare con la nozione di influenza nella direzione opposta. Questo rapporto tra le tradizioni si manifesta da quando i molti dettagli aggiuntivi nella tradizione di Enoch divengono più difficili da spiegare poiché omessi in un riassunto nella Genesi che lascia ai lettori un testo il quale non si fa altro che denigrare i "figli di Dio" e la loro prole gigantesca nella stessa misura.
Questo punto è importante chiarirlo all'inizio della discussione che seguirà: i paragoni tra il Libro dei Vigilanti e la Genesi, senza che uno debba assumere dipendenza letteraria diretta in ciascun caso, assumono un ulteriore significato mentre tentiamo di identificare particolari sottolineati nella tradizione testuale enochica. Far emergere un tema del genere non dovrebbe essere interpretato nel senso che colui o coloro che hanno prodotto il Libro dei Vigilanti, nelle forme in cui è conservato, pensassero deliberatamente a concetti quali “etica” o “natura umana” quali argomenti teologici di per sé. Il mito dei Vigilanti non prende nessuna di queste preoccupazioni quale punto di partenza. Allo stesso tempo, c'è un notevole coraggio nel porre domande sui testi enochici. Dopotutto, una tale storia, che riguarda il cosmo che irrompe irrimediabilmente e le modalità in cui tale situazione si manifesta per l'umanità, può essere proficuamente inserita in una conversazione con atteggiamenti nei confronti del comportamento umano e della natura. Tuttavia, implicare che il mito sia principalmente legato agli esseri umani è un riduzionismo che cercherò di evitare. Mentre il discorso sugli esseri angelici e le loro attività può essere rappresentativo di realtà socio-politiche e culturali nel mondo degli autori, sarebbe sbagliato, se si prendesse la tradizione del testo nelle sue condizioni, semplicemente considerandola come tale.
La trama non ruota solo intorno alla realtà mitica, ma include anche una componente umana, anche se gli esseri angelici ribelli fungono da codici per i poteri politici quando, nella storia, si accoppiano con le donne sulla terra. La conoscenza e le attività descritte come discutibili nella narrativa pongono una sfida alla pia visione del mondo enochico proprio perché sono gli esseri umani a cui sono state introdotte queste pratiche che, una volta acquisitele, le mettono in atto senza ulteriori interventi. La domanda diventa quindi precisamente dove nella storia si individuano le realtà problematiche note agli scrittori: in termini di ciò che essi pensavano, è sufficiente leggere il discorso sulla conoscenza degli angeli e sui misfatti della loro progenie come immagini decifrabili che si traducono in attività di oppressive forze politiche e culturali, o in realtà la tradizione rivendica una realtà demoniaca che giace dietro a quello che stanno facendo gli umani (se gli angeli caduti funzionano come simboli per loro)? Con queste domande in vista, ci rivolgiamo al mito stesso e a ciò che ha da dire, rispettivamente, sul comportamento riprovevole e lodevole.
Come già sopra esposto, la storia di Genesi 6 (vv. 1 – 2, 4) mostra connessioni con 1 Enoch 6-16, in particolare i capitoli 6-11. La prima versione è molto breve ed afferma semplicemente che i “Figli di Dio”, infatuandosi delle donne degli uomini, ne scelsero alcune, tra le più belle, come mogli, generandovi una razza di “uomini potenti”, definita anche “Nephìlìm” ed anche “Uomini di Fama” (Gen. 6,4). Il testo ed i dettagli equivalenti nel Libro dei Vigilanti sono conservati, con varianti, in testi aramaici molto frammentari, recensioni più estese della Grecia, un piccolo testo siriaco e più manoscritti etiopici meglio elaborati. Dopo aver aderito strettamente ad una tradizione che osserva il moltiplicarsi dell'umanità, il testo sottolinea la bellezza delle loro "figlie", ma non solo (come in Gen 6: 2;1 En.6:1). Inoltre, mentre la Genesi ritarda l'annuncio di questa discendenza dall'unione fino a quando i "Nephìlìm" sono menzionati come "sulla terra in quei giorni" (Gen 6: 4), la tradizione enochica afferma espressamente che gli esseri angelici intendevano accoppiarsi con le donne "affinché possiamo generare figli" (1 En. 6: 2). Invece riguardo la nota interposta in Genesi sarebbero rimasti centoventi anni per la carne dell'umanità (6: 3), che implica la distruzione della stessa.
Il testo enochico si focalizza invece sui dettagli degli stessi angeli; specifica che Shemihazah ,il loro capo, fa un patto con gli altri angeli per non tornare indietro dal realizzare i loro desideri (1 En. 6: 3 - 5), notifica che gli angeli discendono sul Monte Hermon (6: 6), ed elenca i nomi di venti angeli, ognuno dei quali a sua volta conduce un ulteriore gruppo di dieci (6: 7 - 8). All'inizio di 1 Enoch 7, il Libro dei Vigilanti ritorna al materiale che troviamo in Genesi 6: 2 riportando come gli angeli realizzarono il loro desiderio (1 En. 7:1): «e presero le donne da tutti quelli che scelsero, e cominciarono ad andare in loro e si contaminarono con loro e loro (iniziarono) insegnarono loro la stregoneria e il lancio di incantesimi e il taglio delle radici; e loro (iniziarono) a mostrare loro (l'uso di) piante». Di questo passaggio, solo l'affermazione "e hanno preso le donne tra tutte quelle che hanno scelto" si sovrappone alla tradizione masoretica. Il materiale aggiuntivo su ciò che gli angeli insegnavano alle donne può riflettere una particolare ansia da parte degli scrittori enochici poiché alcune delle pratiche menzionate in 1 Enoch 7:1 come stregoneria, incantesimi o il taglio delle radici sono menzionati di nuovo con i nomi di diverse figure angeliche in 8:3. Gli angeli ribelli, quindi, sono accreditati quali portatori di cultura, cosa che il Libro dei Vigilanti respinge categoricamente, ed inoltre sono le donne con le quali si accoppiano a ricevere per prime queste istruzioni. Con gli insegnamenti riprovevoli degli angeli, ci imbattiamo in un'area in cui i primi capitoli della Genesi hanno poco o nulla da dire.
Sebbene i discendenti di Caino siano associati in Genesi 4: 20-22 con gli inizi della cultura, non sono apertamente denigrati, né le attività associate con loro corrispondono a nulla nel testo enochico a questo punto. Le istruzioni degli angeli ribelli si muovono in una direzione chiaramente diversa, cioè nell'area della "magia" e della "medicina". Qui, quindi, incontriamo alcuni degli accenti particolari nella tradizione di Enoch in relazione all'etica. Avendo affrontato espressioni di cultura non trovate in Genesi, gli scrittori enochici stanno individuando attività all'interno del loro ambiente che dovrebbero essere categoricamente respinte. La breve lista iniziale di ciò che le donne hanno imparato in 1 Enoch 7: 1 è notevolmente ampliato ed elaborato in 8: 1-3. Qui, le tradizioni aramaiche, greche ed etiopiche ci permettono di identificare e ricostruire il seguente elenco di insegnamenti discutibili da angeli individuali, questa volta gli insegnamenti sono diretti più inclusivamente all'umanità nel suo complesso, non solo alle donne, ma anche agli uomini. Questi che elencherò di seguito sono i nomi dei principali Vigilanti:
1) Ramuel;
2) Shemihazah;
3) Danel;
4) Baraqel, che diverrà il Barachiele, arcangelo della tradizione ortodossa e dal XVI secolo in poi anche cattolica;
5) Yomyael;
6) Ezequeel;
7) Suraquyal;
8) Asael;
9) Batraal;
10) Anani;
11) Zaqebe;
12) Samsaweel;
13) Sartael;
14) Armaros;
15) Turel;
16) Urakibaramel;
17) Akibeel;
18) Tamiel;
19) Arazeyal;
20) Ertael.
(I capi sono 19, ma è sembrato a me doveroso aggiungere Baraqel proprio per la sua importanza postuma e spiegarne così l'origine).
Le abilità introdotte all'umanità dagli angeli ribelli si dividono in tre categorie principali: 1) armamenti; 2) tecniche di abbellimento (compresa la modellazione di gioielli e trattamenti decorativi/cosmetici per gli occhi); e 3) arti medico-magiche (inclusa l'astrologia e gli incantesimi di fusione e scioglimento). Non c'è dubbio su cosa pensino gli scrittori su queste pratiche e le loro conseguenze per il mondo. 1 Enoch 8:2, può riflettere una prima interpretazione che ha ritenuto l'umanità responsabile per l'allontanamento degli angeli. Ma va notato che la menzione delle arti medico-magiche e il loro incarico per gli angeli ribelli rifletteva una posizione presa all'interno del Libro dei Vigilanti che differiva radicalmente da quella di altra letteratura del Secondo Tempio. Una posizione meno unilaterale può essere dedotta dal Libro di Tobia e da quello dei Giubilei, secondo cui l'uso dei rimedi, sia a base di erbe che in altro modo, sono sanzionati e rivelati da un emissario angelico di Dio. Il Libro dei Vigilanti utilizza la trama per difendere la prerogativa di Dio di guarire senza attingere a mezzi che compromettano l'adorazione di Dio stesso e conducano alla venerazione di altre divinità. Questa visione tradizionale riprende gli atteggiamenti diffusi dell'antica Israele trovati nella Bibbia ebraica ed il rifiuto di queste capacità riflette un'ansia verso incursioni indesiderate dalle culture vicine; nel contesto del III secolo a.C., queste minacce culturali sarebbero state avvertite dalle espressioni di pratiche ellenistiche provenienti sia dall'Egitto, da un lato, sia dall'impero seleucide, dall'altro, derivanti queste ultime dalla scia di conquiste da parte di Alessandro Magno. La denigrazione delle tecniche di abbellimento e dell'attività decorativa attraverso la creazione di gioielli è senza dubbio anche in funzione delle minacce percepite dalla cultura straniera. In questo caso, avremmo qui a che fare con una cultura che prospera economicamente a tal punto che tali lussi possono essere goduti con regolarità. Tuttavia, non è come se lo scrittore della formazione della tradizione dei Vigilanti respingesse del tutto la nozione della bellezza. Nel raccontare la storia conosciuta dalla tradizione biblica, si denota una certa ironia riguardo gli angeli che dicono agli umani come diventare belli. Dopotutto, lo splendore delle figlie umane così enfatizzata in 1 Enoch 6: 1-2 (oltre che in Gen 6: 1-2) è ciò che attirò gli angeli a commettere i loro grandi misfatti all'inizio, così che qualsiasi cosa al di là di questo è superflua. Le donne della terra sono intrinsecamente dotate di bellezza e non hanno bisogno di aiuto. Per quanto riguarda la fabbricazione delle armi, all'interno delle istruzioni ed insegnamenti dati dagli angeli, si nota un'elaborazione minore riguardo l'argomento. Nondimeno, esso rimaneva un tema centrale in quanto la progenie di questi, i Nephìlìm, era descritta in atteggiamento violento al punto tale da portare il mondo dell'epoca antidiluviana nel caos più totale.
Dopo aver brevemente esaminato le attività degli angeli ribelli e cosa, secondo le tradizioni del testo, gli umani impararono da loro, siamo in posizione migliore per poter affrontare la prossima gamma di attività, vale a dire le nefandezze commesse dai giganti. La narrazione della Genesi (6:1- 4) non fa alcun tentativo di collegare ciò che i figli di Dio fanno nel prendere le donne dell'umanità generando bambini giganti tramite esse con l'invio del diluvio quale punizione. Invece, la ragione più immediata per il Diluvio Universale è rappresentata proprio dalla violenza e dal peccato umano incontrollato, al punto tale da far “pentire” Dio della propria Creazione. Sebbene gli umani, nella misura in cui ricevono e si impegnano in abilità insegnate loro dagli angeli, siano complici poiché agenti di deterioramento delle condizioni durante il periodo antidiluviano, l'enfasi enochica è chiaramente posta sulle ingiustizie commesse dai giganti, progenie di entrambe le razze. Secondo la versione etiopica di 1 Enoch 7: 35, i giganti alti tremila cubiti,avevano appetiti che non potevano essere soddisfatti. Sviluppata nella tradizione enochica, la descrizione delle attività di questi ultimi ed il motivo dell'insaziabilità loro, non lascia tracce in Genesi 6. L'incapacità dei giganti di essere soddisfatti dipendeva sia dalle loro dimensioni, che avrebbero richiesto un'enorme quantità di sostentamento e sia dalla loro ascendenza paterna, dalla quale ereditarono l'instabilità nel controllo dei propri desideri ed impulsi. In primo luogo, i testi presumono che gli umani siano stati ridotti in schiavitù e costretti dai giganti a coltivare cibo che, nonostante tutto, non dava loro sostentamento ed appagamento. In secondo luogo,presumibilmente, quando i prodotti agricoli iniziarono a scarseggiare, o comunque non erano sufficienti, il testo afferma che i giganti progettarono di uccidere l'umanità, divorandola nell'occasione. Pertanto, oltre ad essere schiavizzati con il duro lavoro, gli umani divennero ancor più vittime a causa del cannibalismo commesso dai primi nei loro confronti. In terzo luogo, il testo chiarisce, però, che gli esseri umani non erano le uniche vittime poiché i giganti si misero a commettere atrocità anche verso le altre creature quali uccelli, rettili e pesci. Cosicché, il consumo di risorse agricole, l'uccisione di esseri umani e l'annientamento di specie animali nell'aria,sulla terra e nel mare, equivalse a distruggere ciò che Dio ha creato nel Terzo, Quinto e Sesto Giorno come si nota in Genesi 1 (vv. 11 – 13, 20 - 22 e 24 - 30).
Lo stesso concetto di “buona Creazione” (Genesi 1, 31) viene capovolto. In quarto luogo, il testo afferma che i giganti iniziarono addirittura, non paghi, ad uccidersi e divorarsi a vicenda, bevendo addirittura anche il sangue, cosa abominevole che equivale ad un insulto definitivo verso la vita. Significativamente, il Libro dei Giganti, altra opera enochica conservata in frammenti aramaici da ben dieci manoscritti provenienti dalle grotte del Mar Morto, elabora ancora di più su quali siano gli obiettivi delle attività distruttive dei giganti.
Questa enfasi sul comportamento violento e le sue enormi dimensioni riflette quanto il testo enochico, a differenza di Genesi 5-8, consideri i giganti quali figure significative, sebbene maligne, a tutti gli effetti. Più degli angeli che li hanno generati, i giganti, che assumono tratti umani nella narrazione, hanno corpi e possono spargere sangue, (1 Enoch 7: 5), e sono proprio quegli esseri che, più immediatamente degli stessi angeli, portano il mondo sull'orlo di un caos che solo Dio può correggere o salvare. Che cosa porta a questo susseguirsi di distruzione che include vegetazione, uomo e animali? Sebbene gli uomini uccisi si lamentino al cielo, lo fanno insieme alla terra della quale fanno parte. Se all'interno della trama che si concentra sui giganti dobbiamo parlare di etica, non è semplicemente il comportamento che risulta essere antropocentrico; la violenza commessa è cosmocentrica ed è "la Terra" che si schiera con le proteste umane contro le atrocità verso di essa.
Racchiusi in una tale teologia della creazione, gli umani hanno un ruolo nell'unirsi alla terra quali agenti di un pianto, che funziona quale richiesta di liberazione dalle condizioni irrimediabilmente sbagliate. Anche se potrebbe essere appropriato parlare di "etica della resistenza", parrebbe, quale opzione migliore, in termini socio-politici, designare il programma di comportamento sanzionato in questa parte del Libro dei Vigilanti come "etica dal basso". Caratteristica di questo programma è il rifiuto di attività e forme di comportamento che sigillano ciò che coloro che sono al potere sono in grado di fare a scapito di chiunque e di qualsiasi altra cosa si trovi sulla loro strada; gli scrittori enochici e la comunità o le comunità da cui provenivano ed in relazione a cui scrivevano respingevano l'imposizione culturale "dall'alto" e cercavano persino di dare all'ambiente una voce che partecipasse a questa visione. Proprio come la posizione sociale di coloro che producono le narrazioni di Asael e Shemihazah sarebbe stata su scala più piccola di quella di coloro che erano al potere, così anche i comportamenti che hanno imposto, come implicito in ciò che rifiutano, hanno comportato una delimitazione e restrizione delle sanzioni, attività appropriata al culto di Dio.(La guerra divina diviene così il risultato ideale nel quale avviene il ripristino del Cosmo nella modalità originaria come pensata da Dio stesso).
Perché potremmo preferire pensare all'etica dal basso piuttosto che all'etica della resistenza? Nell'affrontare questa domanda, ci rivolgiamo all'antropologia teologica assunta nel Libro dei Vigilanti, concentrandosi sui capitoli 6-11. Il rifiuto di istruzioni e forme di comportamento discutibili è ancorato a due convinzioni più fondamentali e interconnesse. Il primo di questi è la santità e, quindi, la dignità dell'uomo nell'ordine creato, e il secondo è la sicurezza che il fine ultimo dell'umanità, tutta l'umanità, in linea di principio, non solo Israele, è di adorare Dio. Ci occupiamo brevemente a turno di ognuno di questi punti. Primo, il posto dell'umanità nell'ordine creato. Questo è già accennato nell'avviso sulla bellezza delle figlie umane. Questa inesausta caratteristica del loro essere non ha bisogno di miglioramenti, e così la revisione delle istruzioni degli angeli di escogitare modi per migliorare la bellezza con cui le donne furono dotate è resa superflua fin dall'inizio. Più di questo, tuttavia, il Libro dei Vigilanti assume un'antropologia che distingue i giganti dall'umanità creata da Dio. Ci sono alcune analogie, per essere sicuri. Sia i giganti che gli umani hanno corpi e possono spargere sangue (1 Enoch 7: 4) e sia i giganti che gli umani hanno forme di esistenza non materiali. I primi, pur derivando la loro esistenza fisica dalle madri che li hanno partoriti, non sono tuttavia dotati di corporeità nello stesso senso degli uomini. Sono esseri la cui ibridità non è autorizzata (1 Enoch 10: 9), in modo che non abbiano alcun luogo dato da Dio nel cosmo.
Questo aspetto del loro essere si riflette nelle loro azioni riprovevoli; per la loro stessa natura, non sono in grado di comportarsi diversamente. Gli umani, naturalmente, incarnano anche l'unione di uno spirito o di un'anima ed un'esistenza corporea. L'origine di questo è, a differenza del caso dei giganti, non una miscela di anima celeste con corpo terreno, ma piuttosto un atto creativo di Dio che dota le persone di corpo e anima fin dall'inizio e dà loro la capacità di riprodurre lo stesso tipo di essere al quale erano stati originariamente progettati. Il testo, quindi, celebra non solo che le figlie dell'umanità erano giuste e piacevoli da guardare, ma anche, e più fondamentalmente, che l'umanità prima della disobbedienza angelica del tempo si stava moltiplicando sulla faccia della terra (1 Enoch 6:1-2), evento che si ripresenterà nel futuro escatologico. Dotati di un senso del luogo all'interno di un cosmo stabilito e creato da Dio, gli umani possono cadere vittima di aberrazioni che violano l'ordine creato, che nella trama è rappresentato sia dagli angeli sia, soprattutto, dai giganti. Tuttavia, sebbene siano vittime, i primi non sono assolti dalla responsabilità delle loro azioni.
Il testo rappresenta le persone come coloro che possono essere istruite dagli angeli, e quindi possono essere complici nella diffusione di abilità e pratiche inaccettabili. In effetti, nei capitoli che precedono immediatamente la storia dei Vigilanti, capitoli da 2 a 5, è un uomo che è ammonito ad osservare l'esempio del mondo naturale (cambiamenti stagionali, clima e corpi celesti) anno dopo anno che mantiene fedele il ritmo con cui Dio lo ha programmato. I giganti, tuttavia, e le istruzioni introdotte dagli angeli malevoli sono al passo con tutto questo; quello che fanno è, cosmologicamente, un errore e, nella misura in cui gli umani partecipano a ciò che hanno portato nel mondo, si stanno allontanando dall'ordine e dallo scopo che Dio ha progettato per tutta la creazione. Relativo all'integrità dell'umanità vi è un secondo punto, vale a dire che il principale ed ultimo scopo dell'umanità è l'adorazione di Dio (1 Enoch 10:17-22). Nel testo, questo scopo è notato quando gli scrittori guardano al futuro escatologico quando «tutte le persone adoreranno Dio» (v.21).
Sebbene non venga descritto come uno stato originale goduto dagli esseri umani prima che gli angeli si ribellassero contro Dio, l'adorazione dello Stesso da parte di tutta l'umanità (1 Enoch 10) è notevole sotto diversi aspetti. È modellata ed integrata nel corpus dei capitoli 6-11 nel Libro dei Vigilanti. Per esempio, emerge da una storia che riguarda la liberazione di Noè (e quindi l'umanità che costituisce la sua prole) dalla grande ondata di punizioni divine contro tutti i poteri del male. In secondo luogo, il culto escatologico previsto include tutta l'umanità, in contrasto con la punizione definitiva del male nel passato che anticipa il suo completo sradicamento in futuro al momento del giudizio finale. Terzo, ed in seguito alla convinzione che gli esseri umani appartengono all'ordine creato, l'importante distinzione tra umanità e mondo demoniaco ha il suo corollario nella comprensione dell'autore di ciò che la natura umana è (antropologia teologica). La ribellione angelica è in contrasto con il modo in cui Dio ha organizzato e coordinato il cosmo, e la razza dei giganti, che incarnano questa ribellione nella loro stessa natura, non ha un posto dato da Dio e non può nemmeno iniziare ad adorare Dio. In quarto luogo, anche se gli umani si conformano e possono seguire le istruzioni degli angeli, rimangono essenzialmente vittime dell'invasione demoniaca, siano essi stessi a rendersene conto o meno, anche se appartengono a coloro che opprimono gli altri (analogo alle attività dei giganti).
Qualunque cosa abbiano avuto nella promulgazione della violenza, dell'oppressione e delle pratiche riprovevoli, rappresentano ancora, nel loro complesso, una parte costitutiva della creazione. Quindi il motivo del salvataggio di Noè e la fuga dal diluvio non serve solo quale esempio per una comunità di giusti chiamato "la pianta della verità e della giustizia", ma anche ed in definitiva, rende possibile, per il documento, concludere con il pieno ripristino dell'umanità. Gli scrittori di Enoch e coloro per i quali hanno scritto non hanno alcun dubbio sul fatto che, per quanto cattive siano le cose, Dio avrà la vittoria fnale e che gli agenti del male in questo mondo conosceranno e dovranno sottomettersi ad essa.
Infine, è curioso che la controparte positiva di tutte le azioni respinte dal Libro dei Vigilanti non sia catalogata in alcun modo, come in un insieme di virtù o pratiche da prendere in considerazione. Se non altro, è semplicemente la piena adorazione di Dio che viene esposta, ed i lettori del testo sarebbero stati lasciati a congetturare su ciò che questo significa. I corollari di una tale teocrazia utopistica rappresentano e portano alla restaurazione delle cose come erano prima della ribellione angelica: «la vegetazione e gli animali si riproducono in abbondanza ed anche gli esseri umani prospereranno con un'agricoltura organizzata e lavorata con rettitudine» (1 Enoch 10:17-19). In conclusione, l'etica del Libro dei Vigilanti nella sua tradizione fondamentale è relazionale; caratteristica dell'etica nel lavoro è la sua enfasi su un'obbedienza che contrasta con una forma di disobbedienza pensata per essere imposta dai portatori di una cultura politicamente dominante.
Una parte significativa dell'obbedienza implicitamente applicata nella storia è una restrizione delle attività consentite entro i limiti della lealtà religiosa verso il Dio di Israele. La tradizione enochica spalanca e riattiva la tradizione sacra per narrare ed iscrivere le sfide contemporanee del III secolo a.C. in una storia, che ha insistito sul fatto che l'attività di Dio nel passato ha già inflitto un colpo decisivo ai poteri contemporanei dell'epoca. Corrispondentemente, la disobbedienza che emerge dall'adesione a coloro che sono in potere sociopolitico non sarà punita. L'attività non consolidata non contiene solo i semi della sua stessa destrutturazione, ma anche ora opera da un'esistenza "già sconfitta", avendo coscienza che il suo completo annientamento è solo una questione di tempo (escatologico).
L'influenza enochica sulla tradizione manichea è stata a lungo riconosciuta. In un primo frammento dei testi sogdiani ritrovati del Libro dei Giganti di Mani si possono già notare, seppur brevemente, a causa dello stato del frammento, alcuni elementi sopracitati anche nei testi enochici, come, ad esempio, il fatto che i giganti comincino ad uccidersi a vicenda. Il secondo testo comprende due frammenti dalla stessa pagina, ma non uniti direttamente. Nella prima parte il testo descrive la caduta degli aborti dal cielo. La seconda parte, invece, descrive come la coppia demoniaca Pēsūs e Shaklūn divorino la progenie di questi ultimi nel tentativo di inglobare più luce possibile. Se questo frammento può essere ricollegato al Libro dei Giganti di Mani, potrebbe rappresentarne senz'altro una sorta di prologo cosmogonico. Knibb sostiene che un altro elemento in comune con la letteratura enoochica sia dato dal resoconto del viaggio di Enoch in cielo e nell'incontro con i Vigilanti catturati e torturati per il loro grave peccato e che in quello stato rimarranno fino al sopraggiungere delle diecimila età, equivalenti al numero dei giorni della loro trasgressione (1 Enoch, 21, 1-6).
Quest'elemento si ritroverebbe all'nterno di uno scritto sogdiano dal titolo Sermone d'Autunno, un lamento da parte delle stelle ribelli che erano legate al Firmamento a causa del loro peccato e di aver con esso portato distruzione nel mondo. Anche se non è chiaro se questo testo sia collegabile al Libro dei Giganti manicheo, il suo legame con la letteratura enochica non può essere negato. E' opinione comune che Mani abbia composto il suo Libro dei Giganti in aramaico, suo dialetto nativo, e che in seguito siano state realizzate successive versioni in medio-persiano, sogdiano e uiguro. Ultimo elemento che si può dedurre da questi testi ritrovati è il fatto che Mani avesse grande interesse e conoscenza verso la letteratura enochica a tal punto da creare e scrivere un Libro ricalcante quello enochico, seppur con delle differenze, ovvero nella ritrasposizione dei vari personaggi che egli associa alla sua cosmogonia (Vigilanti divengono demoni, i Giganti o Nephìlìm divengono aborti).
Simone Leoni: Nell'immaginario collettivo e nelle opere d'arte, gli angeli hanno sempre un aspetto maschile. Come mai?
Nicola Camerlengo: La rappresentazione dell’angelo come noi la immaginiamo deriva dal contesto greco dalla dea alata Nike e dal dio Hermes, anche se, come detto in precedenza, nel contesto egizio Iside e Maat erano già rappresentate come tali ed anche nel contesto iranico. Nel cristianesimo la loro immagine sarà proposta unicamente a partire dal IV secolo come uomini dotati di ali. Origene nel suo “De principiis”, sostenne che gli angeli fossero antecedenti agli uomini nella Creazione, considerando gli spiriti di questi ultimi quali angeli decaduti. Giustino, Ireneo, Lattanzio ed Ambrogio, seguendo il libro di Enoch affermato canonico dalle chiese cristiane dei primi secoli ed oggi dai copti, reputarono “angeli” i figli divini (i Benĕ Ĕlōhīm ebraici= ottava categoria dell’albero sefirotico in cui all’interno, di ognuna di esse, troviamo un arcangelo ed una sephirah loro corrispondente, nel caso specifico Michele e Hod, rappresentante la gloria e lo splendore divino) che trasgredirono con le figlie degli uomini, anche se in realtà queste ultime figure sono denominate Egregori o Grigori e sono già state descritte prima. Per le medesime ragioni Tertulliano presunse che gli angeli fossero dotati di un corpo, visibile solamente al loro creatore, abili a prendere la forma umana, concetto ribadito dal Concilio di Nizza (787) in cui, sebbene incorporali, gli angeli possedevano un corpo “sottile” ed “igneo” e che quindi la loro rappresentazione era dunque legittima, allo stesso titolo di tutte le “sante immagini” di Dio, di Cristo, della Vergine e dei Santi terrestri. Il fatto che gli angeli fossero rappresentati iconograficamente in forma maschile (pur essendo asessuati) era dovuto all’essere un prodotto della società dell’epoca improntata completamente sotto un punto di vista totalmente patriarcale che vedeva nell’Efebo la giusta identificazione della bellezza pura. Come controprova basti fare il confronto tra le poche figure femminili ritenute rilevanti da parte della Chiesa (la Madonna ed altre figure di sante) e l’elevata presenza di personaggi maschili.
Simone Leoni: : In Italia e nel mondo ci sono molti santuari, alcuni dedicati a San Michele Arcangelo e sono situati, a quanto si dice, su linee tellurgiche, dei veri e propri luoghi di forza. Cosa può dirci in merito?
Nicola Camerlengo: Dal punto di vista geografico il primo insediamento della linea tellurica lo troviamo nell’isola di Symi (Grecia) nel 450 d.C. seguito da Monte Sant’Angelo in Puglia (490 d.C.) e dal Monte San Michele in Cornovaglia (495 d.C.). Poco dopo ad opera di monaci fu costituito l’insediamento di Skelling (588 d.C.). La linea tellurica dell’arcangelo Michele si completa con altri due luoghi di culto che sorgono in tempi successivi: il primo presso Mont Saint Michael (706 d.C.) ed il secondo sul Monte Pirchiriano in Val di Susa con l’inizio della costruzione della Sacra di San Michele (966 d.C.). Un discorso a parte merita il settimo punto che è la chiave di questo allineamento, ovvero il Monte Armageddon lungo la catena del Monte Carmelo in Israele. Parte della tradizione michaelica attribuisce il settimo punto al Monastero del Monte Carmelo poiché luogo sacro; infatti si narra che qui sia vissuto il profeta Elia che ebbe la visione della venuta della Madonna e come Lei fu assunta in cielo. Dopo questo escursus sui sette siti, non rimane che chiedersi se e quale significato abbia questa linea. Possono essere fatte diverse ipotesi, essenzialmente di tre tipi: la prima è quella che cerca di trovare una connessione fra macrocosmo e microcosmo. Si apre quindi un capitolo astronomico complesso nel quale possono essere prese in considerazione numerosissime variabili, a partire dalle quattro stelle regali che, tradizionalmente, vengono associate ai quattro arcangeli (quelli che in qualsiasi delle tradizioni angelologiche cristiane, ovvero Enoch, Pseudo-Dionigi, l’Aeropagita, Gregorio Magno e gli Ortodossi, non sono mai sostituiti) fino ai punti solstiziali ed equinoziali e ad altri punti importanti come il centro galattico. La seconda è data da un punto di vista puramente simbolico nell’allineamento stesso dei sette punti che uniti ad un’altra linea immaginaria, che va da Santiago di Compostela ad Hidesheim, formerebbero l’immagine di una spada, simbolo, appunto, del suo essere guerriero. La terza è data dal loro essere considerati quali punti di forza nel quale l’anima del viandante può per così dire ricaricarsi e rinforzarsi per essere pronta a combattere il male.
Simone Leoni: Come si può studiare qualcosa di etereo e spirituale che va ben oltre la nostra sfera di comprensione? Non crede che così facendo, si possa incorrere in concetti o credenze totalmente errate su questi esseri?
Nicola Camerlengo:
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Come modalità occorre tentare un approccio di tipo scientifico ovvero facendo ricerca, verificando l’attendibilità delle fonti (ove possibile) e fare confronti fra più correnti di pensiero.
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Soggettivamente nulla è errato perché concetti e credenze fanno parte della sfera personale dell’uomo e rispondenti alle sue esigenze. Oggettivamente il tutto deve rispondere a precisi principi etici e morali
Simone Leoni: è interessante notare che la gerarchia degli angeli è così composta: serafini, cherubini, troni, dominazioni, virtù, potestà, principati, arcangeli, angeli. In cosa si differenziano gli uni dagli altri? Qual'è il loro scopo?
Nicola Camerlengo: Quando ci si imbatte nei suddetti termini, inevitabilmente si finisce con il parlare di gerarchia. Il primo a proporre una tale configurazione del mondo celeste fu Proclo il quale ebbe anche il primato di dire che gli angeli avessero la mansione di agevolare l’uomo a tornare a Dio in quanto esseri buoni che riferiscono sulla volontà divina. La sua gerarchia era composta da Dei, arcangeli, angeli, demoni ed eroi. Pseudo-Dionigi l’Aeropagita nel suo “De Caelesti Hierarchia” recupera parte della classificazione concepita da Proclo dettando la gerarchia angelica in base alla vicinanza a Dio seguendo tale ordine. Nella prima sfera, troviamo i Serafini, i Cherubini ed i Troni: i Serafini appartengono al più alto ordine di angeli quello posto nel cielo empireo o incontaminato, il più attiguo a Dio dal quale prendono, in forma immediata, le idee e le direttive con il quale far sviluppare un complesso astrale. La Bibbia li ritrae come angeli dotati di sei ali: due per volare, due per coprirsi il volto e due per coprirsi i piedi. Cantano instancabilmente le lodi di Dio ed è anche detto che organizzando il movimento del cielo, così come loro ordinato, e che ardendo di amore e fervore per Dio, irradiano una luce così possente ed abbagliante che nessuno, se non occhi divini, può guardarli. I Cherubini dimorano oltre il trono di Dio, nell’immensità della volta celeste; sono pertanto i custodi della luce e delle stelle. Essi modificano le intuizioni lampanti dei Serafini traducendole in meditazioni e riflessioni di sapienza. La Bibbia li ritrae come esseri con quattro ali e quattro facce ovvero una umana, una di bue, una di leone ed infine una di aquila (simbolicamente vicino ai quattro evangelisti, ma con riferimenti a simbolismi arcaici di stampo protoindoeuropeo: bue/toro, animale sacro, generatore di vita ed associabile all’elemento divino, adottato anche da, oltre che dalla citata religione protoindoeuropea, il Vedismo, l’Induismo, lo Zoroastrismo ed il Mithraismo; il leone e l’aquila rappresentano invece quell’origine zoomorfica relativa agli angeli o meglio protoangeli, figure intermedie; infine l’uomo potrebbe rappresentare l’essere mortale). I Cherubini vengono, oltre a ciò, spiegati come angeli impegnati nella protezione, posti a guardia dell’Eden e del trono di Dio. Essi hanno una perfetta compresione della divinità, oltrepassata esclusivamente dall’amore di Lui da parte dei Serafini. I Troni sono esseri angelici dalla configurazione variabile e dagli infini colori. La loro mansione è quella di condurre in opera la dottrina e la riflessione elaborata dai Cherubini. Vengono raffigurati dalla Bibbia come ruote intersecate da altre ruote, delle quali se una si muove avanti ed indietro, l’altra si muove da un lato all’altro; si tratta di ruote corredate da infiniti occhi. Nella seconda sfera troviamo le Dominazioni, le Virtù e le Potestà: riguardo le prime, esse hanno la mansione di equilibrare i compiti degli angeli inferiori. Ricevono i loro ordini dai Serafini, dai Cherubini o direttamente da Dio e devono garantire che il Cosmo sia constantemente in ordine. Sono gli angeli ai quali Dio affida la forza del dominare. Si presume che essi costituiscono l’esercito dell’Apocalisse e da loro conseguono l’Ordine Universale ed il duro insegnamento alla quale gli angeli inferiori si rivolgono per mantenerlo. Le Virtù, anche denominate Fortezze, sono spiriti guerrieri che regolano i grandi cambiamenti della storia, essi descrivono l’archetipo, in termini di qualità peculiari, degli elementi creati, in quanto si deve a loro tutto ciò che nel Creato cambia e si sviluppa, come ad esempio la metamorfosi del seme in una pianta. Le Potestà vengono descritte dalla Bibbia come esseri angelici dai molti colori, pari ad esalazioni caliginose. Essi sono gli elementi portanti della coscienza ed i custodi della Storia poiché si occupano di condurre il cambiamento della Terra verso la posteriore età cosmica, pianificando e sorvegliando la crescita e l’elargizione di poteri all’umanità. Esse sono suddivisibili in Potenze ed Autorità. Le prime accrescerebbero le ideologie, laddove le seconde compilerebbero le dottrine. Ambedue sono in ogni caso implicate nella formulazione del pensiero. Mentre però le Potenze comprendono tutto, le Autorità si concentrano su specifiche linee di conoscenza, incentrandosi nel codificare quelle idee. Infine le Potestà reprimono l’azione dei demoni e con la loro virtù possono anche allontanarli. Nella terza sfera troviamo infine i Principati, gli Arcangeli e gli Angeli: i primi sono esseri angelici dalla forma paragonabile a raggi di luce. Sono gli spiriti del tempo, custodi di tutto quello che riguarda i vari accadimenti. La funzione dei Principati consta nell’ispirare la nascita di nuove idee, in grado di contrassegnare una determinata epoca, facendo anche in modo che l’uomo abbia sempre più coscienza del suo periodo storico, onde cogliere in questo il suo posto, non lasciandosi indurre dal miglioramento della civiltà, al contrario appropriandosene per vivere totalmente il destino in cui si trova posto. Gli Arcangeli propendono ad essere i più grandi consiglieri e responsabili incaricati dal Cielo. Un arcangelo ha normalmente una funzione di grande autorevolezza nei riguardi dell’uomo; le loro mansioni si compongono nell’ispirare e preservare grandi gruppi di persone ed è per questo che sono denominati anche Spiriti del Popolo. Questo li differenzia dagli Angeli che invece si occupano dei singoli individui. Vi è perseveranza sul fatto che sette di essi, i più potenti, oltre che risultare arcangeli siano anche Serafini e Cherubini, guardie personali e consiglieri di Dio facendo ipotizzare che la potenza di tutti gli angeli non dipenda dalla sfera o categoria di appartenenza, ma queste ultime siano unicamente dei ruoli o compiti ai quali essi sono adibiti. Per ultimi troviamo gli angeli comuni i quali rappresentano la coscienza della singola persona, preservano la memoria della sua vita e, in un’ottica esoterica, le sue diverse personificazioni.
Simone Leoni: Ci sono molte testimonianze di apparizioni di questi esseri, una delle quali è di San Michele Arcangelo, che a quanto si dice, apparve su castel Sant'Angelo durante la peste del 590 d. C facendo cessare la malattia. Ma se esistono questi esseri, come mai secondo lei non si palesano più? Ovvio che non intendo ricevere una risposta teologica, ma se vuole tentare…
Nicola Camerlengo: Innanzi tutto non è del tutto vero che non si palesano più, almeno stando a svariate testimonianze. Per quanto riguarda San Michele Arcangelo, ci sono note almeno sei apparizioni. Le prime tre avvengono alla fine del V sec., quando egli apparì sul Gargano e più precisamente sul Monte Drion (tra il 490 e 493); le successive interessano Papa Gregorio I Magno, il duca Longobardo Grimoaldo e di nuovo il Monte Sant’Angelo durante la peste del 1656. La prima apparizione è detta del toro allorquando Elvio Emanuele, ricco possidente di Siponto, smarrì il miglior toro della sua mandria. Dopo averlo a lungo cercato lo ritrovò all’interno di una grotta, ma qui avvenne qualcosa di strano poiché “qualcosa” gli impediva di entrare ed il toro non ne voleva sapere di uscire. In questa situazione, preso da un raptus d’ira Elvio finì per scagliare contro il bovino una freccia con l’intenzione di ucciderlo. Ecco però che la freccia, come per miracolo cambiò direzione, tornò indietro e colpì Elvio ad una gamba; mentre cadeva per il colpo subìto, avvolto in luce fatta da tutti i colori dell’arcobaleno, lui vide un angelo guerriero che impugnava una spada scintillante. Altre apparizioni furono: quella della vittoria, avvenuta due anni dopo la prima; quella della meditazione, un anno più tardi ed altre ancora.
Simone Leoni: Siamo consapevoli che nel mondo esiste il problema del male. Ma cos'è il male? E cosa sono i demoni che lo rappresentano? Da dove trae origine il loro nome?
Nicola Camerlengo: Cercare di definire il male non è qualcosa di semplice ed univoco poiché molti sono stati coloro che ne hanno studiato le possibili origini o cause, tra i quali Platone, Aristotele, Leibnitz, Plotino, Kant, Schelling, Kierkegaard e Rousseau. Colui che, però, secondo me, si avvicinò di più ad una possibile verità sull’esistenzialismo del male fu Sant’Agostino. Egli difatti risolse il problema del male sostenendo la non sostanzialità di esso, poiché Dio non crea il male, ovvero il non essere, ma solamente il bene, ovvero l’essere che in ultima istanza si configura come la vita stessa. Secondo quest’ottica e secondo i disegni di Dio, il male quindi, in sé stesso, non esiste: esso non è però pura allucinazione dell’uomo comune che è portato a scorgerlo nelle realtà contingenti e transitorie del mondo. È invece l’uomo stesso che con la libertà che gli è stata data, decide di servirsene e di praticarlo. L’essere umano fa ciò sostanzialmente per due motivi: per un desiderio di autodeterminazione assoluta, ovvero per un’incondizionata autonomia di scelta e per l’emancipazione totale da Dio, e per il falso oggetto del suo amore che non è più rivolto a Dio, ma al mondo materiale. Dopo aver prima abbracciato e poi abbandonato la dottrina manichea, Agostino distinse il male in tre categorie, criticando la suddetta dottrina:
- il male ontologico o metafisico; qui Agostino critica la sostanzialità del male ovvero critica il suo essere uno spirito divino pari al bene, pertanto l’essere ed il bene sono proporzionali quindi tanto più perfetto è ontologicamente un ente tanto più “bene” si troverà in esso. Ora, per quanto perfetto sia un ente, in quanto creato non potrà mai coincidere con il bene, perché sarà comunque ontologicamente più povero del Creatore; di questa povertà ontologica Dio non è responsabile e quindi lo stesso male non è qualcosa, ma solo “privatio boni” ovvero privazione di bene
- il male morale, il peccato; anche questo non dipende da Dio in quanto è una conseguenza della libertà di scelta, pertanto non è un qualsivoglia dio del male che crea una morale negativa, instillandola poi negli uomini;
- il male fisico, il dolore e la morte, anche di questo Dio non è responsabile in quanto non è null’altro che la conseguenza del peccato.
Da vari filosofi le cause di quest’ultimo male si sono spesso contraddistinte in due macropunti:
- il male rientra nel quadro finalistico della natura, ovvero è radicato nella stessa natura dell’individuo
- il male è un castigo della Provvidenza o dell’Ordine Cosmico, per rendere migliori gli uomini.
Rispondendo alla seconda e terza domanda diremmo che, come gli angeli rappresentano le personificazioni per così dire “fisiche” del principio assoluto del bene, così i demoni non sarebbero altro che personificazioni del principio assoluto del male. I loro nomi derivano esattamente da significati contenutisticamente diabolici, come quelli degli angeli, di converso, portano in sé nomi di stampo divino o teoforici.
Simone Leoni: Perché nei nostri testi, non vi è scritta la causa della ribellione a Dio, mentre è presente in alcuni racconti apocrifi o gnostici?
Nicola Camerlengo: La modalità della colpa angelica, vale a dire dell’abbandono volontario, ma irreversibile delle schiere celesti da parte dei demoni, oltre che in un mancato riconoscimento della sovranità divina, è stata variamente identificata. C’è per esempio una lettura di tale colpa legata all’evento cristologico. Secondo Ignazio, Vescovo di Antiochia, la caduta angelica è dovuta alla loro mancanza di fede nella missione redentrice del Cristo. La ribellione degli angeli, sempre in chiave cristologica, è invece talora colta nel fatto che alcuni di essi non sopporterebbero l’imperscrutabile disegno che ha visto Dio Padre amare a tal punto gli uomini da inviare suo Figlio a incarnarsi e ad umiliarsi fino a morire in croce per la loro salvezza. Questo straordinario amore per gli uomini è per molti studiosi la vera causa della ribellione: già Ireneo vedeva nella colpa di Satana un peccato di invidia e di gelosia nei confronti dell’umanità. Per quanto riguarda invece, la tesi che vedrebbe Satana e demoni peccatori per orgoglio, essa presenta diverse e sottili sfumature. In particolare i pensatori cristiani si dividono tra loro circa le cause di un tale orgoglio, quantunque in termini generali essi concordino sul fatto che il primo angelo, Lucifero, volesse diventare come Dio e che gli altri angeli lo abbiano, in un certo modo, imitato. Lucifero, presuntuoso per la sua bellezza, avrebbe desiderato ciò che era al di sopra di lui ed a cui non poteva pervenire. L’orgoglio l’avrebbe dunque spinto a provare un desiderio inammissibile e indebito di dignità, a desiderare ciò cui sarebbe pervenuto solo in virtù della Grazia Divina. Un’ulteriore interpretazione del peccato d’orgoglio è quella che concepisce la colpa di Lucifero come il desiderio disordinato di un’unione ipostatica del Verbo di Dio (cioè l’unione tra le due nature di Gesù, quella umana e quella divina) con la sua natura angelica allo stesso modo di ciò che avviene nell’Incarnazione, reputandola a lui assolutamente dovuta e ingiustamente rifiutata per essere assurdamente accordata alla natura umana. Comunque sia, in definitiva, questo peccato d’orgoglio, e soprattutto al di là delle diverse letture, si tratta in verità di malizia assoluta che rifiuta, di fatto, la piena trascendenza divina. Oltre che nell'orgoglio, il peccato degli angeli è stato tradizionalmente identificato in modo particolare nella superbia, volendo Satana essere Signore del Creato come Dio. Quest'atto di superbia ha in tal modo condotto lui e i suoi seguaci ad una "non adesione" a Dio, ad una vera e propria separazione da Dio, espressa in termini di dissenso, ostilità, disapprovazione, ecc... Tuttavia, la superbia è determinata anche da un altro fatto: dalla pretesa di conoscere esclusivamente, con i propri mezzi, il mistero divino. A causa dell'orgoglio e della superbia l'angelo Lucifero dunque si separò da Dio volontariamente, da se stesso, per cui verrà definito da Giustino e da Ireneo come "serpente apostata". Al di là di questo, c'è chi, come Anselmo d'Aosta nel suo De casu diaboli, cerca di cogliere più in profondità il senso ultimo di quella "colpa". Per Anselmo, "Satana ha voluto qualche cosa che egli conosceva senza averla. Ora, egli conosceva Dio. In particolare, egli sapeva che Dio è totalmente autonomo e ha voluto a sua volta essere totalmente autonomo, come Dio: ha voluto agire "propria voluntate" (di propria volontà), senza riferimento al suo Creatore". Nel peccato di Satana, per Anselmo, non c'è dunque né l'indignazione per la creazione di Adamo né il risentimento per l’Incarnazione del Verbo. Il suo peccato è dovuto soltanto alla sua volontà di assoluta autonomia, non alla conseguenza del suo conoscere determinati eventi. E in una direzione analoga a quella di Anselmo si pone anche Tommaso d'Aquino, quando sostiene che Satana, per ottenere la beatitudine soprannaturale della piena visione di Dio, non si è proteso verso Dio desiderando, con gli angeli santi, la sua perfezione finale per grazia, ma ha voluto ottenerla con le sue proprie forze naturali. Nel cosiddetto Libro dei Vigilanti, che è una delle cinque opere che compongono il Libro detto di Enoc Etiopico, la caduta degli angeli è descritta come la colpa derivante dalla loro unione sessuale con le figlie degli uomini, da cui poi nacquero i giganti, esseri violenti e malvagi. Si tratterebbe quindi della conseguenza di una volontaria e libera rinuncia al loro stato da parte di angeli innamorati della donna. Enoc, nel sostenere questa tesi, riprende un passo della Genesi (6,1-4) che allude ai titani, nati dall'unione tra donne mortali ed esseri celesti, tra "figlie degli uomini" e "figli di Dio": "Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Allora il Signore disse: «Il mio spirito non resterà sempre nell'uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni». C'erano sulla terra i giganti a quei tempi, e anche dopo quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi". Se il Giudaismo posteriore e molti tra i primi scrittori ecclesiastici hanno identificato gli angeli in questi "figli di Dio", è anche vero che a partire dal IV secolo i Padri, sulla base di una concezione più spirituale degli angeli, hanno per lo più interpretato l'espressione "figli di Dio" come la discendenza di Set, e le "figlie degli uomini" come la discendenza di Caino. Del resto, già in un'altra delle opere contenute nel Libro di Enoc, il Libro delle Parabole detto anche Enoc slavo, il peccato degli angeli non è più quello carnale, ma di "apostasia" (rinnegamento della propria fede), poiché gli angeli non hanno ascoltato la voce e l'imperativo divini, optando, invece, per la propria autonoma volontà in un atteggiamento interiore di opposizione e di disobbedienza. Si assiste, perciò, al passaggio verso una dimensione di interiorizzazione e di spiritualizzazione del peccato degli angeli rispetto a quella che, in origine, considerava il loro peccato come meramente sessuale. Nonostante ciò che comunemente si crede, si è visto chiaramente che la Bibbia non dice una sola parola sull'origine del diavolo, origine che è invece raccontata in taluni Apocrifi che ho citato brevemente. La Tradizione secolare della Chiesa rimodellò queste riflessioni e le propose come nozioni teologiche. Qualunque sia l'origine del Male e delle nostre tentazioni, è certo che l'esperienza e la prova del Male sono realtà che Dio consente e permette. A tale proposito molti Cristiani vivono in una sorta d'infantilismo morale, se così possiamo esprimerci: vale a dire addebitando sempre a poteri malefici e ad influenze perverse, più o meno occulte, più o meno attive, la vera e profonda sostanza del Male che percorre in lungo e in largo la Terra e, perciò, la storia dell'umanità. In realtà, una riflessione più approfondita (ecco, nella fattispecie, perché si parla in termini di moralità) lascerebbe spazio ad una leale autocritica attraverso la quale l'uomo riuscirebbe a identificare, nella propria libertà, l'agente rivelatore e scatenante del Male. La ribellione di Lucifero è comunque brevemente citata all’interno dell’Apocalisse, prima di descrivere la battaglia finale, quindi, pur se in maniera molto limitata, la Bibbia getta indizi su di essa sebbene, tranne nel caso citato or ora, non ne parli apertamente.
Simone Leoni: Cosa vuole dire ai lettori?
Nicola Camerlengo: Ai lettori consiglio quanto detto prima: agire nella maniera in cui si dovrebbero affrontare solitamente gli argomenti scientifici, ovvero fare ricerca, controllare le fonti, fare confronti e, come dice Popper, non accontentarsi mai.