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La chimera di Trieste


Luogo: Civico Museo di Storia Naturale di Trieste
Indirizzo: Via dei Tominz, 4, Trieste
Telefono: 040 675 4603
Sito: www.museostorianaturaletrieste.it/
Articolo e fotografie di Giancarlo Pavat - giancarlo.pavat@gmail.com
Questo luogo appartiene al gruppo:
animali mitologici (chimere)
figure rare
Luoghi:
stanze segrete (i gabinetti delle curiosità)
Simboli:
Friuli Venezia Giulia

Nel XVI secolo nell’Europa occidentale scoppiò la “moda” della “Wunderkammer” (in tedesco significa letteralmente “Stanza delle Meraviglie” o “Gabinetto delle curiosità”; plurale “Wunderkammern”), si trattava sale di palazzi in cui nobili, studiosi e religiosi vi raccoglievano oggetti che suscitavano stupore, curiosità, meraviglia, detti appunto “mirabilia”.
Le radici delle “Wunderkammern” affondano nel Medio Evo, e raggiunsero il massimo sviluppo e diffusione tra il XVII secolo, alimentandosi delle grandiosità dell’Epoca Barocca, e il secolo successivo. Ove trovarono terreno fertile nell’amore per le curiosità scientifiche, proprio dell'Illuminismo.
Entrata del Civico Museo di Storia Naturale di Trieste
Una “Wunderkammer” celebre in tutta Europa fu quella del noto farmacista e naturalista italiano Ferrante Imperato (1550–1631), che l’allestì nella propria dimora a Palazzo Gravina a Napoli. La sua collezione divenne un vero e proprio museo, tra i più noti in Europa e fu visitato da numerosi studiosi. Infatti, è propria da questi “gabinetti di curiosità” che sono nati i moderni musei scientifici.
I nobili e ricchi collezionisti facevano a gara per accaparrarsi reperti meravigliosi, pagandoli profumatamente a commercianti (sarebbe più corretto dire “trafficanti”) senza scrupoli. I quali molto spesso rifilavano non soltanto manufatti o reperti che oggi si definirebbero archeologici o etnici ma veri e propri falsi, soprattutto laddove il collezionista bramava possedere ed esporre esemplari di veri e propri “mostri”.
Esseri dalle fattezze incredibili, “impossibili”, spesso ripugnanti ed al limite del moderno buongusto, ma che facevano schizzare alle stelle le “quotazioni” di una “Wunderkammer” e del suo proprietario.
Soprattutto nel Levante mediterraneo e nell’Estremo Oriente nacque una vera e propria “industria” di queste mostruosità, creando falsi clamorosi, spesso partendo da animali veri imbalsamati e poi opportunamente “trattati”. Alcuni di questi falsi sono passati alla Storia.
Ad esempio, un tipico “finto mostro” era il “Draco” o “Diavolo di mare” ottenuto da una semplice razza seccata e elaborata. Possiamo vederne un esempio nella raffigurazione contenuta nell’opera dell’illustre e dottissimo naturalista bolognese Ulisse Aldovrandi (1522-1605) dal titolo “Serpentum et draconum historiae”, pubblicato postumo nel 1640.
Ecco cosa recita la didascalia dell’immagine: “Draco, ex Raia exsiccata concinnatus" ovvero “Drago realizzato da una razza seccata”. A quanto pare lo stesso Aldovrandi possedeva un reperto simile nella propria collezione (una “Wunderkammer”, ovviamente)
Questi animali o meglio, mostri compositi, prendevano il nome generico di “chimere”, ispirandosi al famoso mostro della mitologia greco-romana, dotato di copro e testa leonina, con una seconda testa capriforme e coda di serpente, ucciso dall’eroe Bellerofonte.
Ecco come la descrive Omero nell’Iliade;
“Era il mostro di origine divina,
leone la testa, il petto capra, e drago
la coda; e dalla bocca orrende vampe
vomitava di foco: e nondimeno,
col favor degli Dei, l'eroe la spense... “
(Iliade, VI, 180-184).
Dal punto di vista artistico la “Chimera” più celebre è quella detta “di Arezzo”. Ovvero un bronzo etrusco datato tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a:C, oggi conservato al Museo Archeologico Nazionale di Firenze.
Tornando alla “chimere” delle “Wunderkammern” un esempio di tale reperto è esposto al Museo di Storia Naturale di Trieste. Uno dei più antichi musei del genere in Italia.
Il Museo di Storia Naturale di Trieste nacque nel lontano 1846 (all’epoca la città faceva parte dell’Impero Asburgico) e come tante altre istituzioni culturali e scientifiche triestine, si deve alla volontà di privati cittadini e non alla decisione di autorità ed enti pubblici.
In quell’anno, alcuni Triestini diedero vita ad una “Società per lo studio della Storia Naturale”. Lo scopo principale era quello di studiare la fauna del mare della città, l’Adriatico. Il 17 agosto dello stesso anno, durante la prima riunione dei soci fondatori, venne istituito il “Museo Zoologico”, denominato “Gabinetto Zoologico Zootomico”.
Il 9 febbraio del 1852, l’Istituto, con tutti i suoi reperti e le sue collezioni, venne acquisito dal Comune di Trieste. Le continue donazioni da parte di privati cittadini appartenenti a tutte le fasce sociali costrinse il Museo a cambiare di frequente sede, alla ricerca spasmodica di spazi idonei per poter esporre tutti i reperti che ormai raggiungevano quantità degne di ben più noti musei europei.
Il Comune decise allora di innalzare di un piano il palazzo della Biblioteca Civica, situato nell’attuale piazza Attilio Hortis che all’epoca si chiamava piazza Lipsia in ricordo della vittoria su Napoleone del 19 ottobre 1813.
Nel 1855 il Consiglio Comunale chiese all’arciduca Ferdinando Massimiliano d’Asburgo di accogliere il Museo sotto il suo patronato. L’Arciduca accettò con entusiasmo e il 6 novembre l’Istituzione assunse la denominazione di “Civico Museo Ferdinando Massimiliano”.
Nella sede di piazza Hortis il Museo prospererà e si arricchirà di continuo, grazie a nuovi lasciti e contributi di spedizioni scientifiche ufficiali. Ad esempio quella della fregata “Novara” al ritorno del suo “Giro del Mondo”.
Ed è in quel palazzo che chi scrive, si recava da piccolo, accompagnato dai genitori o dal nonno materno, a visitare quello che appariva come un mondo di meraviglie e stranezze. Letteralmente una enorme “Wunderkammer”.
Ricordo ancora l’inquietudine e l’emozione che provavo nel salire gli ampi scaloni, varcare la grandi porte in legno massiccio, camminare sullo scricchiolante parquet ottocentesco, e nell’essere accolti appena si entrava dagli scheletri o dalle ricostruzioni di grandi mammiferi come elefanti africani, orsi delle caverne, leoni ed altri animali.
Nel 2008 la sede storica di piazza Hortis n. 4 è stata chiusa ed il Museo dopo oltre 150 anni, ha cambiato sede trasferendosi in via Tominz n. 4 negli ampi spazi di una caserma dismessa dell’Esercito.
Le collezioni del Museo di Storia Naturale sono state riallestite secondo i nuovi canoni della moderna musealizzazione e nel 2010 è stato riaperto al pubblico.
Nella nuova sistemazione, subito dopo la biglietteria, svoltando a destra (nelle sale a sinistra vengono allestite interessanti mostre temporanee) si accede alla sala in cui sono esposti alcuni pezzi delle vecchie collezioni ottocentesche.
Chimera di Arezzo - disegno G Pavat 2015
“L’esposizione ottocentesca affianca collezioni con finalità didattiche e pensate per l’ostensione, eredità diretta delle Wunderkammern, alle serie numerose di reperti simili che a prima vista caratterizzano le collezioni scientifiche” spiega il sito ufficiale del Museo; www.museostorianaturaletrieste.it; “Questa distinzione si accentua nel museo moderno, dove ormai il virtuale si affianca sempre più al reale nella parte espositiva, mentre per lo studio rimangono insostituibili le collezioni, nucleo fondamentale di qualsiasi museo che possa dirsi tale, anche se in genere non appaiono più integralmente in mostra nelle sale”.
In questa sala del museo triestino si possono vedere oltre ad animali impagliati o imbalsamati, libri antichi, strumenti ed espositori d’epoca ed alcuni “pezzi” ben degni di una “Wunderkammer”. Ad esempio un caprone impagliato con quattro corna (io e mia moglie Sonia vedemmo qualcosa del genere alcuni anni fa, credo fosse il 1994, in Alto Adige, dalle parti di Egna. Un gregge di capre era guidato da un esemplare maschio che, oltre alle caratteristiche corna “d’ordinanza”, sfoggiava un corno più piccolo ed un quarto dritto come quello di un unicorno), due caprioli bicefali e la “nostra” “chimera”.
Si tratta di un “mostriciattolo” zoo-antropomorfo diseccato chiuso in una teca di vetro che già a prima vista si nota essere il risultato della composizione di parti di diversi animali.
“Questa chimera venne donata al Museo Civico del Mare da Corrado Cannarella, marittimo del Lloyd Triestino” recita la targhetta del reperto “che probabilmente la acquistò in un viaggio in Oriente”. Il singolare reperto, la “chimera” triestina, venne “sottoposta a radiografia e a T.A.C. (Tomografia Assiale Computerizzata NDA) è emerso che le sue sole parti animali: pinne e coda di pesce, unghie d’uccello, oltre a mascella, mandibola e denti che fanno parte di una struttura ossea di pesce (simile alle parti boccali di orata e tordo (“Tordo di mare” o Symphodus tinca, pesce d’acqua salata della famiglia Labridae NDA) esposte accanto). Il resto è legno, stucco, resine e sostegni metallici, opera di un mirabile quanto singolare artigiano”.
Di fatto, quindi, la coda della “chimera” sarebbe una vera coda di pesce, come parimenti gli artigli e la bocca apparterrebbero ad altri animali. Mentre la sezione antropomorfa del “mostriciattolo” non sarebbe altro che una specie di scultura.
Non si sa a quando risalga effettivamente il “reperto”, è probabile che il marittimo triestino l’abbia acquistata come “souvenir” rendendosi conto che non si trattava di una vera creatura mummificata. Forse ne fu solo incuriosito. E se fu un credulone, non facciamo troppo i saputelli. Diciamo che è in buona compagnia. Basti pensare a quanti credono ancora che certi pupazzi di gomma su finti tavoli operatori siano cadaveri di veri alieni sottoposti ad autopsia. Comunque siano andate le cose, la “Chimera dei Civici Musei Scientifici Triestini” rimane un oggetto curioso, una interessante testimonianza non solo della creduloneria ma pure della creatività e della fantasia umana.
Giancarlo Pavat.
Ovviamente il “Museo Civico di Storia Naturale” di Trieste” merita una visita non soltanto per la “Chimera”. Possiede collezioni di Botanica, di Mineralogia, di Paleontologia (bellissimo il fossile in perfetta connessione anatomica del “Tethyshadros insularis”, ovvero ”dinosauro adrosauroide insulare della Tetide”, soprannominato “Antonio”; uno dei dinosauri più completi mai trovati al mondo, scoperto nel sito del Villaggio del Pescatore non lontano da Trieste), di Geologia, Evoluzione Umana e Biologia Marina. Per quanto riguarda quest’ultima branca dello scibile, nelle sale dedicate alla fauna marina, il visitatore potrà fare la conoscenza di…”Carlotta”. E non diciamo chi è per non guastare la “sorpresa”.
Per chi volesse visitare il “Museo Civico di Storia Naturale” di Trieste”, ecco alcuni riferimenti utili;
Indirizzo: Via Tominz, 4, Trieste
0039 040 675 4603
www.museostorianaturaletrieste.it;
Aperto ogni giorno tranne il martedì, dalle 10.00 alle 19.00.
(Chiusura casse 18.30)
Visite guidate su appuntamento scrivendo a
museiscienzadid@comune.trieste.it;
o telefonando allo 0039 040 6754603 – 0039 040 6758662
Costo biglietti:
intero € 3,00
ridotto € 2,00
gratuito per bambini di età inferiore a 6 anni.
Altri contatti:
sportellonatura@comune.trieste.it;
Si arriva al museo con l’autobus:
Linee n. 11, 22
(Fermata Via Revoltella 83 – si percorre la Strada di Rozzol, si gira a destra in via Rietti e si prosegue sino a via Tominz)
Linea n. 18
(Fermata Via Cumano, di fronte all’entrata del “Museo de Henriquez”)